Sono davvero molte le mail che ricevo da ragazzi desiderosi di conoscere più da vicino la nostra vita e vocazione di frati, insieme alle attività e occupazioni che segnano ogni nostra giornata. Ecco la storia di fra Giorgio Abram e fra Amerigo Afonso.
La vita dei frati è: vivere il vangelo
Sempre ho cercato di illustrare in semplicità la nostra vocazione partendo da quel primo grande imperativo che tutti ci accomuna e indirizza e che san Francesco fissa per i suoi frati. Come leggiamo nella Regola, egli dichiara, infatti, senza mezzi termini che regola e vita dei frati minori è:
«seguire l’insegnamento e le orme del Signore nostro Gesù Cristo (Rnb I,1)», vale a dire, “vivere il vangelo”!
Scrive ancora Francesco nella Regola:
«Nient’altro dobbiamo desiderare, nient’altro volere, nient’altro ci piaccia e diletti, se non il Creatore e Redentore e Salvatore nostro, solo vero Dio, il quale è il bene pieno, ogni bene, tutto il bene, vero e sommo bene, che solo è buono» (Rnb XXIII,9)
Questo significa che per noi frati Gesù, con il suo Vangelo, è il nostro tesoro, per il quale vale la pena “vendere tutto”, perché conquistati dal suo sguardo, dal suo amore, dalla sua gioia oltre ogni nostra aspettativa.
Un punto fermo per tutti noi da cui poi ecco l’aprirsi di tante strade, tante vie, diverse modalità in cui ogni frate può esprimersi e offrire se stesso, al Signore e al prossimo.
Questa premessa mi è utile in realtà per condividere con tutti voi qualche ricordo sulla figura di due cari confratelli che hanno incarnato questi ideali e che recentemente sorella morte ha visitato: fra Giorgio Abram e fra Amerigo Afonso.

Fra Giorgio Abram
Il primo, fra Giorgio (vedi l’articolo sul sito della nostra provincia), religioso presbitero, è morto il 6 marzo 2021 in Ghana (77 anni) a causa del tremendo virus covid 19 che aveva già causato il 12 gennaio la morte del fratello, fra Giuliano, egli pure frate, (vedi post del nostro blog) di comunità presso la Basilica del Santo da vari anni.
La lotta alla lebbra
Fra Giorgio era invece un missionario, avendo trascorso quasi l’intera vita in Africa dove era arrivato (nel 1977) poco più che trentenne forte di una brillante intelligenza e preparazione e intraprendenza. Esperto in malattie tropicali era diventato ben presto per il Ghana, segnato tragicamente dalla piaga della lebbra, un autentico riferimento, per qualcuno un “eroe nazionale” (titolo che mai avrebbe voluto sentirsi dire!), protagonista in 44 anni di una radicale lotta ad una malattia allora endemica, di fatto debellata grazie alla sua azione.
Per la grande esperienza maturata sarà chiamato ad operare poi anche in varie nazioni africane per far fronte ad altre emergenze sanitarie: dall’ebola, all’ulcera del buruli e nuovamente per la lebbra anche in Vietnam, accanto ai nostri frati. Un’opera che gli varrà vari importanti riconoscimenti internazionali, ma che mai, scalfirà il suo ironico e distaccato modo di porsi, con quell’aplomb e quel fare alquanto “british” che lo caratterizzava.
Assolutamente privo, infatti, di ogni di ogni retorica ed enfasi, ma sempre ricco di vera umanità sapeva attraversare con grande competenza e sottile umorismo ogni situazione e incontro: sia che si trovasse tra gli sciamani e gli stregoni nelle foreste del Ghana (da lui istruiti per combattere la lebbra) o a confronto con qualche tetro funzionario vietnamita o in veste di conferenziere a qualche importante simposio medico.
L’avete fatto a me
La sua immagine più vera è però quella evangelica del piegarsi per curare le piaghe dell’uomo ferito e martoriato, per lavare le ulcere infette, per sanare e prendersi cura dei malati e dei poveri, con quella dignità e professionalità che riservava anche all’ultimo lebbroso incontrato nel più sperduto villaggio. Ho questo ricordo impresso in me, da quando qualche anno fa, lo accompagnai in un viaggio lunghissimo in jeep, a visitare i tanti piccoli ambulatori e centri di cura che aveva istituito tra la foresta e la savana nella parte nord del Ghana. Un’immagine molto francescana che immediatamente richiama l’abbraccio di san Francesco proprio al lebbroso, origine e scintilla scatenante della sua vocazione. E qui ritorna il richiamo alla Regola, a “vivere il vangelo” e dunque alle parole di Gesù che fra Giorgio ha cercato di incarnare per tutta la sua vita:
«Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. (…) In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». (Mt 25, 35-36, 40)

Fra Amerigo Afonso
Per certi aspetti molto diversa, eppure anche simile, la figura di un altro nostro frate recentemente chiamato da sorella morte, fra Amerigo Afonso (vedi articolo sul sito della nostra provincia religiosa) : un semplice e umile fraticello (non era sacerdote) di comunità presso la Basilica del Santo e morto improvvisamente dopo un breve malore, all’alba della Domenica delle Palme (28 marzo 2021).
A servizio dei pellegrini
Aveva 88 anni e da ben 59 era di famiglia presso il convento di Padova, dove per tutto questo tempo si è occupato principalmente di accogliere i pellegrini nella cappella delle reliquie di s. Antonio, offrendo loro sempre un sorriso, gentili indicazioni, il dono di un’immaginetta, una parola buona .
E sono davvero milioni i pellegrini che nella minuta e svelta figura di questo fraticello sempre hanno trovato un riferimento sereno, sorridente e disponibile. Una vita, quella di fra Amerigo, lineare, piccola e semplice, probabilmente secondo gli occhi del mondo quasi “sprecata”, divisa fra la preghiera e l’impegno sempre uguale e fedele alle mansioni affidate vissute con quello sguardo e quel cuore mite che subito i pellegrini coglievano (vedi post del nostro blog).
Il profumo di una vita donata
Nel tempo libero e fin quando fu in salute, amava occuparsi dell’orto e della pulizia del giardino, raccogliendo in autunno le molte foglie cadute dagli alberi. “Non l’ho mai sentito parlare male di nessuno”, così l’ha descritto un anziano confratello che ha vissuto con lui molti anni. “Era come un bambino, davvero innocente senza alcuna malizia”, mi ha riportato qualche altro e io stesso non posso che confermare questa sua descrizione che si manifestava in gesti e parole ogni volta mansuete e buone. “Grazie a Dio”! Era un motto che amava ripetere.
La sua morte ha lasciato in tutta la comunità un sentimento di mesta sorpresa e dolore unitamente ad un senso di tenerezza e dolcezza, come se tutti noi avessimo potuto gustare in fra Amerigo il “buon profumo di Cristo” diffusosi per tutta la casa allo spezzarsi, nella Domenica delle Palme di questa sua piccola vita, del suo umile e prezioso vaso: la fragranza di una vita intera donata al Signore e davvero vissuta evangelicamente!
Come non pensare qui alle parole di Gesù:
«Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.» (Mt18,3-4)
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza» (Mt 11, 25-26).
E così certamente il Signore ha deciso per fra Amerigo!
E tu? Che farai?
Cari fratelli, ecco dunque a quanti mi chiedono della nostra vita, due belle testimonianze di frati francescani. Due esperienze diversissime eppure accomunate dal donarsi, dallo spendersi e dall’offrirsi per il Signore, e per i fratelli. Non certo vite “parcheggiate”!
Che l’esempio di fra Giorgio e fra Amerigo appassioni tutti voi e vi interroghi e interpelli su come intendete spendere la vostra esistenza, dandole quel senso e quella pienezza che solo in Gesù e nel suo Vangelo possiamo trovare .
A Lui sempre la nostra lode.
fra Alberto – fraalberto@vocazionefrancescana.org
In “parcheggio” o in “ascolto“?