E siamo finalmente nel tempo pasquale: cinquanta giorni nei quali fare continuamente memoria della risurrezione di Cristo, eco del periodo in cui il Signore risorto si manifestava ai suoi discepoli.
Possiamo a mala pena immaginare cosa dev’essere stato per gli apostoli poter vedere ancora Gesù in mezzo a loro, gli sguardi pieni di stupore, il cuore che fatica a credere e che però si riaccende d’ardore dopo la grande disillusione della morte del loro Maestro.
La vita, o meglio il Vivente, torna ad animare quegli uomini impauriti e chiusi nel Cenacolo: dal timore e dallo smarrimento di aver sbagliato tutto, di non aver compreso nulla, Cristo li aiuta a diventare suoi testimoni consolandoli, confortandoli, aprendo la loro mente alla comprensione delle Scritture e inviandoli nuovamente ad annunciare quanto accaduto nel mistero pasquale.
Un’esperienza sconvolgente, trasformante, che ricapiterà circa milleduecento anni dopo ad un altro uomo, attanagliato da quella che i suoi biografi chiamano la “gravissima tentazione”, tra i boschi dell’appenino toscano.
Francesco, nel 1224, proprio 800 anni fa, si trova sul monte della Verna, dopo la dimissione da guida e superiore del gruppo di frati che attorno a lui si era raccolto, sempre più numeroso. Francesco, autentico interprete della fraternità, è ora turbato al punto da voler fuggire la compagnia dei fratelli, a causa delle tensioni e dei cambiamenti che sta appunto vivendo la Fraternitas nel trasformarsi in Ordine “istituzionale”.
In questa notte esistenziale, attraverso un’esperienza mistica, il Poverello vive la sua “pasqua”: dall’angoscia di aver sbagliato a comprendere e vivere la volontà di Dio su di lui e sulla sua esperienza religiosa, passa a sperimentare la gioia dell’incontro con il Signore, che lo conferma nella sua missione anche mediante il conferimento delle stigmate (fatto fino ad allora mai verificatosi ad altri uomini).
Francesco diventa il primo di cui si disse in maniera chiara ed inequivocabile che «apparve crocifisso, portando nel suo corpo le cinque piaghe, che sono veramente le stigmate di Cristo». Da un punto di vista teologico-spirituale ci è difficile interpretare correttamente questi segni, in quanto ci manca l’interpretazione diretta dell’unico autorizzato a farlo, che sarebbe Francesco stesso.
La sua voce però ci giunge indirettamente dalla Verna mediante la “Chartula”, un piccolo pezzo di pergamena scritto su due lati tutt’ora custodito nella Basilica inferiore di S. Francesco ad Assisi. Su di esso sono riportate, per mano stessa di san Francesco, una benedizione indirizzata all’amico frate Leone e una preghiera.
Alcune annotazioni aggiunte dallo stesso Leone ci permettono di riconoscere le Lodi di Dio altissimo quale eco orante dell’evento della Verna. Una preghiera che raggiunge vette altissime di contemplazione:
Tu sei santo, Signore solo Dio, che compi meraviglie. Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei altissimo, Tu sei onnipotente, Tu, Padre santo, re del cielo e della terra. Tu sei trino e uno, Signore Dio degli dei, Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, Signore Dio vivo e vero. Tu sei amore e carità, Tu sei sapienza, Tu sei umiltà, Tu sei pazienza, Tu sei bellezza, Tu sei sicurezza, Tu sei quiete.
Tu sei gaudio e letizia, Tu sei la nostra speranza, Tu sei giustizia e temperanza, Tu sei tutto, ricchezza nostra a sufficienza. Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine. Tu sei protettore, Tu sei custode e difensore, Tu sei fortezza, Tu sei rifugio. Tu sei la nostra speranza, Tu sei la nostra fede, Tu sei la nostra carità, Tu sei tutta la nostra dolcezza, Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.
Abbiamo modo così anche noi, guardando a questo meraviglioso testo, di trarre alcuni spunti per la nostra preghiera, tema che ci accompagna in questa serie di articoli. Anzitutto, come dicevamo altre volte, Francesco è talmente calato dentro al mistero di Dio, del Dio Trinità, che è come se fossimo posti di fronte ad una concentrazione sull’essere stesso di Dio, espresso da innumerevoli attributi che tentano di dirne l’ineffabile essenza, tornando incessantemente su quel “Tu sei”.
Se tornassimo ad una preghiera degli inizi, quella davanti al Crocifisso, ci accorgeremmo subito di una differenza importante: se in quel testo Francesco chiedeva discernimento e doni significativi (le virtù teologali), qui alla Verna egli non chiede più nulla, contempla soltanto. Certamente i diciotto anni che intercorrono tra i due testi ci dicono di un cammino di maturazione spirituale (nulla avviene in un solo momento!) che prende l’io di Francesco e lo porta quasi scomparire e ad essere assorbito nel Tu di Dio.
Nelle Lodi poi non ci sono riferimenti a Cristo, proprio perché, già notavamo, ormai il Poverello di Assisi prega stando nella posizione stessa del Figlio e da qui, quasi prestasse voce alle Sue parole, si rivolge al Dio santo, al Padre, al Dio trino e uno.
A partire dalla preghiera allora possiamo verificare realmente la nostra capacità di riconoscere in Dio la ragione profonda della nostra vita: al di là di tutte le richieste e le suppliche, quanto ci prendiamo il lusso di sprecare tempo e amore nel contemplare ed esplicitare quelle caratteristiche di Dio che ci hanno fatto sentire salvati dentro le nostre morti, che ci hanno “innamorato” di Lui? Quanto, in definitiva, abbiamo fatto nostra la resurrezione di Cristo, la sua meraviglia di fronte all’essere riportato in vita?
La “vertiginosità” dell’evento mistico di Francesco, quel suo essere diventato Alter Christus, sia davvero occasione anche per noi oggi di far scendere nel profondo del cuore l’esperienza della Pasqua, così da cantare con il cuore traboccante la vita eterna che Dio sta già spiegando nella nostra esistenza.
fra Andrea Bosisio – info@vocazionefrancescana.org