Oggi condividiamo con voi la testimonianza di Emanuele Conte, un giovane di Treviso che ha vissuto due mesi di esperienza di missione in Venezuela con i nostri frati. Grazie davvero Emanuele per queste tue parole: fanno del bene a tutti noi e ci spronano a rischiare, per gustare la vita vera!

Ci sono esperienze che segnano un punto di svolta nella vita. A volte sono dolorose: penso ad una malattia, un lutto, un tradimento. Vivendo queste situazioni ci si accorge subito che una forza impetuosa e travolgente costringe a rivoluzionare la propria quotidianità per affrontare i problemi e le difficoltà che ne derivano.
Fortunatamente queste non sono le uniche esperienze che ci cambiano: la nostra vita è piena di bellezza nascosta perlopiù dentro le piccole cose che spesso diamo per scontate. Così sono stati i miei ultimi mesi, dove una bella chiamata ha lavorato in me in modo nascosto ma potentissimo.
In mezzo alle mille cose che facevo ogni giorno (lo studio all’università, il lavoro di musicista e molto altro) sentivo che qualcosa mi mancava, come se tutto ciò che stavo facendo fosse un dovere che non mi dava vera soddisfazione e che anzi piano piano “mi mangiava”.
Da questa situazione critica, che mi sono portato avanti per vario tempo, degli incontri inaspettati m’hanno spinto ad interrogarmi su ciò che davvero volessi fare e vivere. Sentivo una forte spinta ad uscire dalla mia comfort zone. Era una forza che mi consigliava di fare spazio e svuotarmi delle cose che normalmente mi davano vita (ma che anche me la toglievano) per qualcosa di più grande.
Ho quindi iniziato un percorso di preparazione missionaria con frate Valerio Folli di Padova: fin da subito mi sono accorto che quella forza mi chiedeva di fidarmi.
Seguendo la proposta di frate Valerio, decisi quindi di partire per due mesi, destinazione Venezuela. Andavo da solo, ma lì mi avrebbero accolto ed ospitato i frati della custodia venezuelana. Così é stato: il 2 Agosto sono arrivato all’aeroporto di Caracas, pronto a lasciarmi guidare e fidarmi delle proposte che mi avrebbero fatto.

La prima settimana di missione l’ho trascorsa nella Capitale: una città forte, contraddittoria, dove alla gradevolezza del clima (tutto l’anno é primavera!) si contrapponeva la vista di barrios (quartieri) con case ammassate l’una sull’altra.
Vivere per qualche giorno in un barrio popolare m’ha subito fatto toccare con mano la povertà che lì si vive, ma fin dal principio faceva da contraltare l’affettuosa accoglienza delle persone grazie alle quali mi sono sentito accettato e voluto bene già solo per il fatto di essere lì.
Dopo i primi giorni di “atterraggio” in questa nuova realtà mi sono trasferito nella città di Guanare, a circa sei ore di macchina da Caracas. Qui sono rimasto per più di un mese, ospite del convento che è anche la casa madre di tutti gli altri: dove la missione francescana è nata, insomma.
Eravamo nel cuore del Venezuela, nella grande pianura che offre paesaggi così diversi da quelli italiani che colpivano costantemente i miei occhi. Lì ho avuto tante opportunità di conoscere e stare con molte persone, mangiando in casa delle famiglie, partecipando alle attività parrocchiali organizzate dai frati per i giovani. Ho inoltre vissuto alcuni giorni nella struttura del Buen Samaritano, una casa accoglienza per anziani, soli, malati.
Tutto ciò é stato una ricchezza immensa perché m’ha fatto conoscere l’Altro nelle sue bellezze e diversità che potevo solo immaginare ma non toccare fino a quando davvero non l’ho vissuto sulla mia pelle.
Qui ho capito perché spesso papa Francesco ci dice che “il tatto è il senso più completo, che ci mette la realtà nel cuore: toccare, farsi carico dell’altro. Se guardiamo senza toccare qual è il dolore della gente, mai potremo trovare un’altra via: è la cultura dell’indifferenza”.
Lo stare con l’altro, abbracciarlo e parlargli ha voluto dire risvegliare una parte di me che prima si era un po’ assopita portandomi a vivere la mia quotidianità con quell’indifferenza da cui ci mette in guardia il Pontefice.
Incontri, escursioni, silenzi: tutto mi parlava di un qualcosa di più grande di me a cui io stavo solo aprendo la porta. Non ero più io che parlavo, ma qualcos’altro: Qualcun altro.
Tra tutte le esperienze fatte, una mi colpiva e parlava in particolare modo: la vita con i frati. Loro erano una continua e vera testimonianza di fratelli che donano giorno dopo giorno la loro vita per giovani, famiglie, poveri e chiunque abbia bisogno. L’accoglienza che mi hanno riservato non la dimenticherò mai.
Un incontro tutto speciale è stato quello con fra Pietro Buonamassa, uno dei fondatori della missione francescana in Venezuela. Italiano come me, che ha dedicato tutta la sua vita alla missione, rinunciando a tutto per amore a Dio e alle persone di lì. Un vero testimone di fede e carità. Vivere con lui è stato forse il regalo più grande di cui ho goduto in quei due mesi.
Finito il periodo nel caldo di Guanare, ho virato verso il convento di Pueblo Llano, nello stato di Mérida: un luogo meraviglioso in mezzo alle Ande, dove al clima più fresco si univano paesaggi di montagna stupendi. Qui ho trascorso poco più di una settimana, avendo modo però di conoscere la comunità e molti giovani del paese e delle frazioni vicine: una vera ricchezza culturale e spirituale che mi ha dato modo di conoscere anche le differenze di usanze tra gli abitanti della pianura venezuelana e quelli andini.
Infine, l’ultima settimana della mia missione l’ho trascorsa nel seminario francescano di San Cristóbal, ai confini con la Colombia: qui ho compiuto un’altra parte davvero profonda dell’esperienza, conoscendo tutti i ragazzi che stanno studiando e vivendo la loro vocazione nella chiamata a seguire Dio sui passi di San Francesco. Ho fatto amicizia con molte persone che ogni giorno frequentano il seminario pregando e accompagnando i ragazzi nel loro cammino di donazione a Dio. Qui ho imparato davvero tantissimo: la bellezza dello stare insieme, di scherzare, pregare e condividere ciò che abbiamo l’uno con l’altro.
Il pensiero, tanto semplice quanto rivoluzionario, che mi viene in mente ripensando all’esperienza di cui vi ho parlato è che “siamo tutti fratelli”: questa frase tanto semplice ed apparentemente banale non la cogliamo mai davvero fino a quando non ci sentiamo amati nel profondo, senza pregiudizi: questo è ciò che ho vissuto dal primo all’ultimo giorno della mia missione, e questa consapevolezza che piano piano ho maturato m’ha cambiato nel profondo.

Ora, tornato alla mia quotidianità, molto diversa da quella vissuta in Venezuela, ogni cosa che mi trovo a vivere ha un sapore tutto diverso, tutto nuovo.
Ciò che ho visto e udito lì l’annuncio ora con grande gioia a tutti voi che leggete, perché davvero la Vita ha la capacità di guidarci e sostenerci nei momenti più difficili: tutto sta nel lasciare indietro le nostre paure e rischiare, uscire da noi stessi e metterci in gioco fino in fondo, vivendo davvero.
Emanuele Conte – giovane missionario francescano – info@vocazionefrancescana.org