Come si fa ad stare in preghiera? Continua la nostra serie di post sul metodo di preghiera (qui l’introduzione), con il terzo passo: stare in preghiera.
In un post di qualche settimana fa vi abbiamo suggerito un semplice metodo di preghiera in 4 passi, scanditi da 4 verbi: prepararsi, entrare, stare, uscire (trovate l’articolo a questo link). Dopo aver approfondito il primo passo, prepararsi (qui trovate l’articolo dedicato), e il secondo, “entrare” (qui trovate l’articolo dedicato), oggi proviamo a dire qualcosa di più sul terzo passo: stare.
Lo sfondo di questo metodo, come già ribadito più volte, è la possibilità di immaginarci i nostri momenti di preghiera come un incontro fra due persone, due amici: io e Dio. Allora dopo aver preparto questo incontro, ed esserci entrati, ci gustiamo finalmente la parte più bella, il cuore: lo stare insieme!
Semplicemente stare
Siamo infatti proprio al cuore della nostra preghiera: tutto il resto, in fondo, serve solamente a giungere qui, sono tutti strumenti che hanno il solo obiettivo di favorire, preparare, sostenere il nostro stare con il Signore.
Eppure questa parte centrale della nostra preghiera, che è anche quella che occupa la parte maggiore in termini di tempo, è forse quella di cui è più difficile parlare… Mentre nelle altre tre parti possiamo suggerirvi dei metodi, degli strumenti, delle “cose da fare” concrete, qui si entra invece nel mistero della relazione personale con Dio.
Allora, in questa parte centrale l’unica cosa da dire è questa: bisogna stare. Si tratta di gustarsi tutto ciò che i passi precedenti (speriamo) hanno favorito. Tutto ci è servito per giungere sull’uscio, aprire la porta e varcare la soglia: ora ciò che accade dentro la stanza dell’incontro è tutto nelle mani di Dio.
Per questo motivo il presente articolo potrebbe già terminare qui… Ma proviamo invece anche in questo caso ad aggiungere qualche indicazione che vi può essere utile.
Cosa ci attendiamo?
Cosa ci si può attendere da questo tempo che dedichiamo semplicemente a stare davanti al nostro Dio? Probabilmente ognuno di noi si attende anzitutto di percepire la presenza di Dio, di sentire che lui ci parla, di avvertire delle particolari sensazioni, di avere delle risposte, ecc… In realtà l’esperienza ci insegna che il tempo dello stare può essere vissuto in maniere molto diverse.
Ci possono essere momenti molto intensi, più o meno prolungati, in cui percepiamo con forza e chiarezza la presenza di Dio con noi. Ci potranno essere momenti invece molto aridi, nei quali ci sembra solamente di perdere tempo, di non sentire nulla, o dubitare persino che Dio esista veramente.
Ci saranno poi alcuni elementi che catturano la nostra attenzione in maniera decisa, come una certa parola del Vangelo, oppure un’immagine che ci viene alla mente, o un pensiero che lo Spirito ci suscita. D’altra parte ci potranno essere innumerevoli e insidiose distrazioni, di ogni tipo (dalla mosca che mi gira intorno alla testa, all’ansia per l’esame che avrò il giorno successivo, al ricordo di una cosa accaduta tanto tempo fa e che proprio ora mi torna in mente, alla pancia che brontola per la fame, al banale colpo di sonno, ecc…).
Vivremo perciò dei momenti in cui il tempo sembrerà scorrere velocissimo e sfuggirci dalle mani, altri in cui invece sembrerà davvero non passare mai. Passaggi in cui ci sentiamo così bene, così “a casa”, che vorremmo stare lì per sempre, altri dai quali non vediamo l’ora di poter fuggire via.
Forse possiamo immaginare di tracciare un grafico del nostro stare in preghiera, in cui mettere nelle ascisse il tempo che scorre e nelle ordinate l’intensità della nostra preghiera (così come la percepiamo noi).
Ciò che ne risulterebbe potrebbe essere davvero molto vario… Facciamo degli esempi, prendendo come cavie alcuni dei primi compagni di san Francesco:
Per esempio in questi grafici vediamo che Leone ha iniziato la sua preghiera in maniera faticosa, ma poi piano piano l’intensità è migliorata. Masseo invece ha avuto un tempo di preghiera molto tormentato, fatto di continui alti e bassi. Rufino, dal canto suo, ha avuto una forte intuizione iniziale, ma poi questa si è spenta piano piano. Infine Angelo è stato in preghiera ma non ha avvertito quasi nulla, e per lui l’aridità è stata quasi totale.
Ora la domanda che potrebbe sorgere è questa: chi è stato più bravo? Chi ha fatto meglio?
E la risposta vera, quella cristiana, è solo una: tutti quanti! Infatti, è proprio qui che volevamo arrivare: non è importante l’intensità percepita durante la preghiera, ciò che conta è solamente l’esserci stati!
Non è importante
l’intensità percepita
ma l’esserci stati!
Certo, a noi farebbe piacere avere sempre la linea del nostro grafico che punta verso l’alto: è un desiderio buono, e possiamo pure chiedere al Signore di farci questo dono. Però non è questo ciò che conta. Ciò che conta è il fatto che io e il Signore siamo stati insieme. Magari non ho capito nulla, magari non ho sentito nulla. Però ci sono stato.
Se ci pensate bene l’intensità che noi percepiamo durante il tempo dello stare con Dio, non dipende da noi, ma da lui: quanto e come lui vorrà farsi vedere, conoscere, sentire dipende da una sua scelta libera. E lo farà sempre nel modo che può esserci più utile, più buono, più fruttuoso per la nostra vita in quel momento.
Ciò che dipende da noi invece, ciò che mette in gioco la nostra libertà e responsabilità, è il fatto di esserci, di stare, di mettersi a disposizione, di mettere in gioco (con tutta la nostra intelligenza e capacità e desiderio e volontà) tutti quegli strumenti che stiamo vedendo, per poter stare davanti a lui nel modo migliore possibile, e disporci ad accogliere al massimo la sua presenza. Ma poi il resto, dipende da Dio.
Quando affronteremo l’ultimo passo, “uscire”, torneremo su questa idea del grafico della preghiera. Ma per adesso ciò che conta è questo: va bene tutto, l’importante è stare!
Uno stare sano
Allora vorrei spendere ancora alcune parole sul nostro stare dentro queste diverse “intensità” di preghiera che il Signore ci dona. Ci sono infatti tanti modi diversi di stare davanti a Dio, di rimanere alla sua presenza, e alcuni di questi possono essere “insani”, cioè possono soffocare o addirittura tradire l’alleanza, l’amicizia, che abbiamo con Dio.
Spesso queste modalità “insane” di stare davanti a Dio provengono da un’immagine distorta di Dio che ci portiamo dentro. La preghiera, lo stare con Dio, può diventare allora proprio un antidoto a questa immagine distorta di Dio: stare insieme a lui ci può, piano piano, far conoscere il suo vero volto, e di conseguenza, ci permetterà, un passetto alla volta, di stare anche davanti a lui sempre più in maniera “sana”.
Ma possiamo fin da subito esercitarci nello stare con il Signore in maniera buona, sana, bella. Per questo vorrei condividere con voi 5 componenti per uno stare sano.
Semplicità
Non è necessario essere chissà che cosa, fare i supereroi, sforzarsi di giungere a chissà quale altezza… noi siamo ciò che siamo, e ciò che ci è chiesto è semplicemente quello di stare davanti a Dio così come diamo, con tutto noi stessi.
“Semplicemente” significa “sin-plex”, “senza-pieghe“, senza zone nascoste, ripiegate, dissimulate. Dio vuole incontrare te, proprio te, così come sei, non un altro, non quello che potresti essere o dovresti essere: il Signore vuole te, in tutto ciò che sei, così come sei ora.
E non dobbiamo avere paura di questo, perché lui ci ha creato, e questo significa due cose, estremamente liberanti: anzitutto lui ci conosce già, in tutte le nostre profondità, e poi se ci ha creato lui, allora siamo “cosa molto buona“, siamo fatti a sua immagine e somiglianza, siamo belli, così come siamo, anche se noi facciamo fatica a crederci.
Per questo quando Dio ci guarda, quando noi ci mostriamo a lui nella verità di noi stessi, in semplicità, allora lui pronuncia sempre su di noi le sue parole benedette: “ecco il figlio mio, l’amato, nel quale mi sono compiaciuto“, quello che amo, che è bello, quello con cui desidero stare, con cui mi piace stare.
Lucidità
Uno stare sano è sempre “lucido”, cioè consapevole. In altre parole con i piedi ben piantati a terra, in contatto con se stessi e con la realtà.
Non ci serve a nulla partire per sogni infiniti, trip mentali, capriole pseudo-mistiche… Noi ci serve a niente creare artificialmente la sua presenza, autosuggestionarci per sentire chissà quale emozione spirituale. E, d’altra parte, non ci serve a nulla cancellare parti di noi che non vogliamo vedere, o aspetti della nostra vita che vogliamo ignorare.
Stare davanti a Dio con lucidità significa essere in contatto con se stessi, imparare piano piano a percepire veramente cosa sento, cosa provo, cosa penso. Significa dare cittadinanza e diritto di esserci a tutto ciò che sento emergere da dentro di me, ogni emozione o pensiero, bello o brutto che sia.
Negare (o offuscare) pezzetti di noi o pezzetti di realtà non ci fa mai bene. Torniamo allo stesso punto di prima: Dio vuole incontrare noi, ciò che siamo davvero!
Pazienza
Siamo tutti quanti malati di impazienza. Da un lato l’impazienza durante la preghiera è un buon segno: manifesta il desiderio profondo di Dio che ci abita, la voglia che abbiamo di fare esperienza di lui. D’altra parte però ci fa prendere contatto anche con la nostra debole fiducia, che vuole avere delle prove evidenti, e il più in fretta possibile.
Eppure i nostri tempi non sono quelli di Dio, e nemmeno quelli dell’umanità vera. La nostra stessa umanità, il nostro corpo, la nostra anima, ci chiede tempi di maturazione, di assunzione, di crescita, che sono diversi da quelli che ci attenderemo. Dio però li conosce bene, e per fortuna sa con maestria adeguarsi al tempo vero della nostra umanità, piuttosto che a quello che noi ci attendiamo.
Allora nella preghiera questo significa allenarsi piano piano a non forzare i tempi, a non pretendere. In sostanza significa, se vogliamo essere radicali: non mi aspetto nulla. Ciò che deve accadere, se deve accadere, accadrà come e quando Dio sa che è il momento migliore per me.
Allora l’altro nome della pazienza è gratuità: sto con Dio perché voglio stare con lui, al di là di avere adesso o dopo un qualsiasi tornaconto.
Energia
Sì, la vita spirituale non è roba da mollaccioni. La vita spirituale richiede disciplina, forza, determinazione, volontà, coraggio, perseveranza. Richiede perciò energia!
Ci saranno continuamente delle cadute, delle distrazioni, delle aridità, degli sbagli, dei peccati… ci saranno, sicuramente! Se ci sono nella tua preghiera, significa semplicemente che anche tu sei un essere umano.
Ciò che conta non è tanto quanti momenti difficili ci sono. Ciò che conta è come io reagisco davanti a questi momenti difficili. Avere energia significa avere il coraggio di rilanciare con forza ad ogni caduta, ricentrarsi ogni volta che sono stato “altrove”, ripartire ogni volta che mi sono fermato/a.
“Senza stancarsi mai” direbbe Gesù. Oppure: quando mi accorgo che sono stanco/a, allora prendo un respiro profondo, riconsegno a Dio anche la mia stanchezza, e mi rimetto nelle sue mani, con coraggio, ancora una volta.
Fiducia
Da ultimo, ma forse per primo, il tema della fiducia. Tutto ciò che abbiamo detto fino a qui si fonda su questo: sul mio atto di fiducia in Dio.
Io credo che lui c’è. Credo che lui mi ama. Credo che lui agisce. Credo che lui vuole stare con me. “Credo che tu ci sei, Signore, sempre, in ogni caso. Più forte di ogni mia stanchezza, di ogni mio tradimento, di ogni mio peccato, di ogni mio mediocrità. Tu ci sei, sempre”.
Concludendo
Questo è quanto desideravo condividere sul terzo passo del metodo di preghiera.
Se avete altre domande specifiche, in particolare su questo terzo passo del metodo, non esitate a scrivercele (potete usare il form “un frate risponde”, qui a lato o qui sotto).
Prossimamente proveremo a pubblicare anche l’approfondimento sull’ultimo passo che resta, “uscire”.
Ancora buona esperienza di preghiera, esperienza di Lui, a tutti.
fra Nico – franico@vocazionefrancescana.org
[…] (Articulo libremente extraído del Blog Vocación Franciscana) […]