Più volte ho scritto dell’iter che un giovane è chiamato ad intraprendere per diventare religioso, frate e/o sacerdote francescano: gruppo vocazionale, postulato, noviziato, studi teologici.. Un cammino di vari anni e diversi passaggi talvolta faticosi, ma davvero necessari e fondamentali.
In particolare i giovani frati (in vista dell’ordinazione sacerdotale e della professione solenne) oltre l’impegno principale dello studio (teologia e filosofia), sono coinvolti in varie esperienze missionarie (in parrocchia, ospedale, carcere…). I luoghi formativi per questi fratelli sono i conventi di Roma, Assisi e Padova per il nord Italia.
Riporto di seguito la commovente testimonianza di un giovane frate , frate Nico, studente a Padova (Convento Sant’Antonio Dottore) che narra (anche a nome degli altri confratelli che operano con lui) del servizio di volontariato, impegnativo e bello, svolto nel carcere cittadino. Leggendo quanto ha scritto non ho potuto non pensare all’insegnamento di San Francesco che voleva i suoi frati tra i poveri e per i più poveri e dimenticati, così come all’agire di sant’Antonio di Padova strenuo difensore dei deboli e dei miseri.
Al Signore Gesù sempre la nostra lode.
fra Alberto – fraalberto@vocazionefrancescana.org

Testimonianza di fra Nico, un giovane frate operante in carcere
«È difficile?». Questa è la domanda che mi sento rivolgere spesso quando qualcuno scopre che passo i miei fine settimana in carcere. Di solito sorrido. Mi viene da pensare che è una domanda che contiene già la risposta, come quando mi chiedono: «ma non hai freddo a piedi scalzi?». In realtà, sotto sotto, si sta chiedendo un’altra cosa: «ma che senso ha? Perché fare questa fatica?».
Piange Marta, piange Maria, stanno male persino i Giudei (anche i “cattivi” stanno male per amore). Piange anche Gesù. Amare fa anche piangere, e questo rende l’amore qualcosa che si vede. Anche il male è qualcosa che si vede, che si sente. Così in carcere…
Mi ricordo la prima volta che ci sono entrato, qualche mese fa, pensavo «avrò davanti agli occhi ladri, spacciatori, mafiosi, pedofili, stupratori… vite che sono state quasi distrutte dal male». Dico “quasi” perché in realtà da subito, un istante dopo che i miei schemi mentali spontaneamente si fanno un po’ da parte, lasciano spazio a ciò che si vede («la realtà è superiore all’idea»), ti trovi davanti delle persone. Persone, come me, come te. La maggior parte di loro, se li trovi per strada, non diresti mai che sono delinquenti. Allora ti trovi a mettere da parte i tuoi giudizi, con fatica, aprire piano piano gli occhi e ascoltare con le orecchie. Ascoltare racconti di vita, e lasciare che il male che lì dentro si è consumato ti faccia male, ti stringa lo stomaco. E lasciare che quel male ti spacchi dentro, ti faccia piangere, come Gesù.

Il carcere è un luogo dove non ci sono tante risposte, non esci di lì dicendo «ho capito». Forse davanti al male che si vede, e anche davanti all’amore che si vede, non abbiamo tante risposte. Anche in questo Vangelo ci sono tante domande senza risposta: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva far sì che costui non morisse?». Gesù non ci dà tante risposte. Forse però ci fa vedere (o intuire) come fa lui davanti al male. Noi dividiamo il mondo in “buoni e cattivi”, lui invece divide “peccato e peccatori” (oppure il reato dal carcerato). Lui sempre ama e salva l’uomo, odia e condanna il peccato! Davanti al male Gesù sempre com-patisce, si fa compagno di viaggio, perché per lui “giustizia” non è qualcosa che si applica, per lui “giustizia” è qualcosa che si cerca, insieme.
Però poi si ride, anche in questo Vangelo. Ok, non c’è scritto, ma ce la immaginiamo la gioia di Lazzaro, la gioia di Marta e Maria, la gioia di Gesù. Anche in carcere la gioia è qualcosa che ti sorprende. Sono i gesti di bene enormi che ci sono lì dentro: detenuti che ne accudiscono altri, gli agenti con il loro motto «diffondere la speranza sempre», le mogli che aspettano 10, 20, 30 anni il marito, le mamme che non abbandonano mai.
Proprio questo è quello che fa Dio! Dio è Dio solo se fa passare da morte a vita, dal sepolcro/carcere alla liberazione. E, se stiamo a questo brano di Giovanni, liberazione è un passaggio difficile, lento, che ha bisogno di tempo, dedizione, gratuità, e la volontà di una squadra di persone, e dello stesso “morto” che deve voler “venire fuori”! Ci deve essere qualcuno che toglie la pietra, qualcuno che urla «vieni fuori», qualcuno deve togliere con calma e amorevolezza le bende, medicare, sanare…
Allora la domanda chiave davanti a tutto questo ce la pone proprio Gesù: «Credi questo?».
Dio non ci molla, non ci lascia nel sepolcro, anche se il nostro è un sepolcro del tipo “fine-pena-mai”, un sepolcro da ergastolani.
Lui non ci lascia lì, non ci abbandona mai! Tu credi questo?
fra Nico – info@vocazionefrancescana.org
tratto da : Bibbia francescana