L’attesa alla fine si è compiuta, e forse anche la fatica di arrivare pronti a questi giorni di feste in occasione del Natale. Ora che la frenetica corsa ai regali e ai preparativi dei lauti pasti è terminata, adesso che le numerose proposte di approfondimento della nostra fede sono concluse, cosa rimane? O meglio, cosa è nato di nuovo nella nostra vita?
Credo non sia facile scorgere un elemento di novità nel nostro spirito, che magari non è riuscito a tenere il ritmo forsennato delle nostre attività prenatalizie. Non disperiamo però: tutto è già passato, ma tutto è ancora sotto i nostri occhi! Se è vero che il 25 dicembre ce lo siamo lasciati alle spalle, è vero anche che la liturgia della Chiesa ci fa celebrare per otto giorni la festa dell’Incarnazione come fossero un unico giorno e così pure il presepe non è già rimesso via in uno spazio buio ma rimane a brillare nelle nostre case e nelle nostre chiese ancora per alcune settimane.
Il mio suggerimento dunque è quello di provare a tornare a vivere i giorni dopo il Natale ad un ritmo lento, più calmo, resistendo alla tentazione del letargo e impegnandoci a ritagliare piccoli momenti di silenzio e di preghiera davanti al presepe oppure ad una candela accesa.
Del resto se una luce ha rifulso nella grotta di Bethlehem allora non possiamo che sforzarci di guardare a come quel mistero e quella gioia illuminano la nostra esistenza, pena altrimenti il rischio di non contemplare più la bellezza che Dio incastona nelle nostre vite e intorno a noi, finendo con il lamentarci di tutto e il dimenticarci di ciò che è ormai “lontano” da noi.
E così ci ritroveremmo a fare l’esperienza contraria di quanto il Natale ci racconta: nella mangiatoia infatti il Dio onnipotente, che abita nei cieli, si fa vicinissimo; assumendo carne umana decide di porsi accanto a coloro che erano assenti dalle preoccupazioni dei potenti, dei “benestanti”; nascendo neonato, scosso dai vagiti e minacciato dalle ombre di una strage a danno di bambini innocenti, vuole essere considerato quale segno di pace, di benedizione. Scuotiamo allora le nostre coscienze e torniamo in preghiera!
Lo possiamo fare con un testo di san Francesco, ritrovato da poco all’interno di un manoscritto medievale e a lui attribuito dall’indagine storico-critica. Una preghiera rimasta sconosciuta a lungo che ci aiuta, ancora una volta, a dare nuova sostanza alla nostra di preghiera.
Voi, o figli degli uomini, lodate bene il Signore della gloria sopra tutte le cose, magnificatelo e molto esaltate!
E glorificatelo nei secoli dei secoli, affinché sia ogni onore e gloria nelle altezze a Dio, creatore onnipotente, e sulla terra sia pace agli uomini di buona volontà!
Assai magnifico è questo Re pacifico, al di sopra di tutti i re dell’universo intero, Signore Dio, nostro Creatore, Redentore e Salvatore, Consigliere e nostro ammirabile Legislatore!
Conoscendo davvero poco delle circostanze storiche in cui questa preghiera viene scritta (è infatti assente dai manoscritti francescani più famosi) proviamo a concentrarci sulle parole che il Poverello usa. Anzitutto l’incipit dichiara apertamente i destinatari: “voi”, dice, “o figli degli uomini”. La preoccupazione di Francesco sembra quella di attirare l’attenzione, di esortare, di coinvolgere l’umanità che a lui stava intorno nell’elevare a Dio una lode, che qui viene descritto attraverso una vertiginosa serie di appellativi.
Nell’intento di mostrare la grandezza e la bellezza del Signore, Francesco trascrive molti nomi con i quali la Sacra Scrittura stessa si rivolge e descrive il divino. Come abbiamo già visto altre volte, il Santo di Assisi amplifica il dato biblico, lo arricchisce con la sua personale esperienza: una preghiera che è parola rivolta a Dio, fatta di Parola di Dio! Continuando a suggerire attenzione alle parole di cui si compone la nostra preghiera personale, al di là delle formule “tradizionali” e delle preghiere imparate da bambini, questo testo mi pare ci offra uno spunto per pensare a come noi ci rivogliamo all’Altro nella preghiera.
Quando preghiamo, a chi parliamo? A Gesù? Allo Spirito Santo? Al Padre, al Dio creatore, forse al Dio giudice e misterioso oppure a un’entità indefinita e indefinibile? Se a primo avviso la domanda può sembrare banale o sciocca, in realtà è molto importante: riconoscere l’immagine dell’Altro a cui ci rivolgiamo nella preghiera dice profondamente di noi stessi, ci dice in chi e che cosa crediamo.
Di fatto è a partire dall’esperienza che Francesco ha fatto e fa di Dio che nasce quella spinta irrefrenabile a coinvolgere altri nella relazione con Dio. Con “quel” Dio che lui descrive e del quale cerca di restituirci il ritratto! Perché è vero, noi possiamo scorgere il volto di Dio a partire dalla Parola, dalla carne di Gesù che nasce, ma anche dallo sguardo che gli altri fissano su di Lui e dal racconto che ci restituiscono.
Infine, motivo per cui scelgo di proporvi questa preghiera nelle feste di Natale, Francesco tiene insieme nuovamente l’ampio mistero di Dio attraverso legando insieme la assoluta altezza del Signore e la Sua preoccupazione per l’uomo che sta in terra, il Suo essere “re pacifico” e la pace che viene annunciata dagli angeli attorno alla grotta della natività. Ecco che guardare a Gesù Bambino diventa occasione per contemplare il paradosso del nostro Dio, che si china sull’umanità oppressa e offre un segno che è promessa di una realtà nuova.
Allarghiamo nuovamente con stupore il nostro cuore, torniamo a pregare per la pace, a farci operatori di pace, ad ampliare i nostri orizzonti accettando di rispondere ad una Legge ben al di là delle leggi. Facciamo che, fissando gli occhi su Dio, ciò che ci è lontano ci stia in realtà a cuore, testimoniando una contemplazione che faccia sentire al mondo il vagito di una realtà nuova. Buon Santo Natale di Pace a voi!
fra Andrea Bosisio – info@vocazionefrancescana.org