Ripercorriamo la morte del nostro caro sant’Antonio, accompagnati da Giulio Vienelli, uno dei giovani del Corteo Storico che ogni anno la sera del 12 giugno, qui a Padova (nel quartiere dell’Arcella), rievoca questo importante avvenimento, il Transito.

Camposampiero (Padova). Venerdì, 13 giugno 1231. Una cena frugale, una preghiera e il sole ormai inizia a calare oltre l’orizzonte, a ovest, oltre Vicenza. Finito di sparecchiare, i confratelli iniziano a darsi la buonanotte e a ritirarsi nelle loro celle, quando un tonfo sordo li richiama verso una cella in particolare: fratello Antonio ha avuto un mancamento, e sta male.
Molto male.
Era stata una giornata calda, e Antonio aveva predicato dal suo noce anche nelle ore più calde e afose nonostante i suoi visibili problemi di salute, bisognava dargli da bere, fargli degli impacchi, forse un salasso. Ma Antonio è lucido, serafico nonostante le sofferenze che gli dilaniano il corpo e lo spirito, e chiede una cosa ai confratelli di Camposampiero: un carro e dei buoi, per poter essere portato a Padova e morire in pace nella chiesa di Santa Maria Mater Domini.
I frati sono increduli, allibiti: morire? Come può il Signore permettere che il più Santo dei predicatori dopo Francesco d’Assisi possa morire così? E poi, Padova? Sono più di 20 kilometri di strada sterrata, di sera, ed è comunque il 1231 insomma, la Croce Rossa ancora non è stata inventata, è impossibile che arrivi vivo, bisogna curarlo li, convincerlo che deve riposare e riprendere le forze.
Ma frate Antonio è deciso, cocciuto, duro come il noce su cui predicava, lui vuole andare a Padova e anche se dovesse arrivarci a piedi da solo ci andrà, con buona pace dei suoi confratelli che pur di impedirgli di commettere quella follia in solitaria hanno trovato un carro e dei buoi e hanno acconsentito di trasportarlo.
E così la piccola comitiva dei frati francescani di Camposampiero si mette in cammino, al calar del sole, in quello che sanno sarà l’ultimo viaggio terreno di fratello Antonio, che alterna stati di veglia a stati di incoscienza, a volte delirando. Ma sempre pregando intensamente, con una devozione tale da spingere i frati ad andare veloci, senza il timore di incontrare briganti o il Maligno, con cui Antonio aveva ingaggiato uno scontro tremendo.

Le luci della periferia di Padova si fanno sempre più vicine, lo strazio di Antonio sempre più insopportabile, i frati sempre più stremati e i buoi sempre più stanchi, ma nei suoi momenti di lucidità il Santo frate chiede di andare avanti, sempre avanti, finché non arrivano nei pressi del piccolo monastero delle Clarisse di Santa Maria de’ Cella del rione di Capodiponte, appena fuori le mura di Padova, dove esaurite le energie sono costretti a fermarsi e a chiedere aiuto alle monache.
Antonio è allo stremo, qualcuno gli offre da bere, qualcuno prede l’olio santo, frati e monache insieme si riuniscono a pregare attorno al confratello, all’amico che, aperti gli occhi e accennato un ultimo sorriso, ritornò alla casa del Padre con un ultimo, miracoloso e bellissimo messaggio: “Video Dominum meum”, “Vedo il mio Signore”.
Si dice che in quel momento tutte le campane di Padova suonarono a festa. Lo stesso fecero le campane di Lisbona, terra natale di Frate Antonio.
Fu dichiarato santo da papa Gregorio IX dopo solo 352 giorni dalla sua morte, il 30 maggio 1232, in quello che è tuttora ricordato come il più rapido processo di canonizzazione nella storia della Chiesa.
“La morte di Sant’Antonio viene chiamata transito perché riletta alla luce della Pasqua di Gesù. La morte di Gesù è il passaggio misterioso, potente ed inaudito dalla vita terrena alla vita nuova; questo passaggio, questa pasqua, questo transito è talmente importante che viene celebrato in forma solenne per tre giorni nella Pasqua annuale e ripetuto settimanalmente nella domenica, Pasqua settimanale.
Per Gesù la morte è creduta e annunciata come passaggio, così anche per Sant’Antonio parliamo di transito. Non morte quindi ma passaggio, Transito appunto” (mons. Claudio Cipolla, vescovo di Padova).

Quella del Transito è una tradizione antica di quasi 800 anni, ma solo nel 1931 si organizzò per la prima volta un corteo storico che partì da Camposampiero e arrivò all’Arcella in memoria di Frate Antonio, e ogni 12 giugno, di sera, all’Arcella si organizza un corteo storico più breve che vuole però ricordare la stessa meraviglia.
È un corteo speciale, sempre uguale e sempre diverso, e le emozioni che si provano vedendo il carro di buoi con la statua di Sant’Antonio che barcollando si avvicina al Santuario arcellano preceduto e seguito da una folla di figuranti vestiti come al tempo sono forti, profonde, ma genuine e sincere.
Come lo erano le prediche di Sant’Antonio. Ci piace pensare che dalla Casa del Padre Antonio veda, nella grande confusione di questo mondo, quel piccolo e insignificante corteo fatto solo per lui, e con il sorriso ci benedica.
Giulio Vianelli – info@vocazionefrancescana.org

