L’alluvione che ha sconvolto la Romagna nei giorni scorsi non ha risparmiato nessuno: case, campi, attività, strade… chiese e conventi. Ma l’incredibile solidarietà e buon cuore di migliaia di persone ha fatto da subito la differenza! Fra queste i nostri frati della comunità di Faenza, con tutti i loro parrocchiani. Condividiamo oggi la testimonianza di fra Giambo (Giambattista Scalabrin), che qui dalla nostra basilica del Santo a Padova, è corso in aiuto della gente faentina, assieme a tanti e tanti volontari!
Arrivando in città da lontano l’ho intravista una montagna di rottami cimitero scheletrico rivolto verso il cielo.
Cataste di mobili andati scoloriti slavati, infangati. Qualche lacrima per un ultimo addio forse li aveva solcati: rancore, sconforto, umiliato dolore.
Ogni oggetto ha una storia, un ricordo, sussistenza di vita, lavoro, sudore.
Regali d’affetto, legami d’amore, testimoni in silenzio di pezzi di vita.
(da una poesia)
Quando accadono calamità di una tale portata è comune a tutti sperimentare una sensazione di completo smarrimento, disorientamento, di paura… di vuoto. Viene naturale, istintivo cercare di contattare al più presto le persone care che vivendo nel luogo della tragedia ne sono state colpite all’improvviso in prima persona. E credo che il primo pensiero che dovrebbe attraversare, istantaneamente, la coscienza di chi, invece, di tutto ciò è spettatore non possa che essere: “Cosa possiamo fare?”, “Cosa posso io, nel mio piccolo, fare?”.
La domanda che ha preso sempre più voce dentro di me, sollecitata dalla visione delle immagini, dei report che prontamente giungevano dalla tv e dai social, è stata questa: “Come frate, cosa posso fare?”. È da questo interrogativo impellente che mi sono posto, che comincia la mia esperienza a Faenza, il mio incontro con il fango, o meglio con il “mostro” (come lo chiamo io).
Era la mattina di sabato 20 maggio terminata la celebrazione della messa in basilica [la basilica di sant’Antonio, a Padova, ndr], con fra Giancarlo, economo provinciale, ci siamo mobilitati per cercare di aiutare i nostri confratelli di Faenza. I quattro frati della chiesa di San Francesco, fra Ottavio, fra Franco, fra Mirko e fra Ermanno si ritrovavano ad essere “prigionieri” in un convento ed in una chiesa con metri di acqua e fango al loro interno.
È un susseguirsi di telefonate.. contatta chi ha una idrovora, cerca in internet il costo di una idropulitrice, vai a comprarne una, due riusciamo a farcele prestare.. contatta alcune persone nella speranza di ricevere un aiuto per procurare del cibo, badili, detersivi, i secchi, e i tanto richiesti e preziosi “tira acqua”,.. tutto quello che, immaginiamo, possa servire per affrontare un’emergenza del genere.
La sera del sabato il furgone è ricolmo di tutto quello che, in poche ore, si è riusciti a raccogliere (siamo riusciti a caricare anche un frigo!). Non resta allora che partire: destinazione Faenza.
L’immagine che mi si presenta dinanzi agli occhi al mio arrivo è sconcertante: non c’è più nulla, solo un’immensa distesa di acqua e fango. Allagata la chiesa, il convento, il refettorio, le aule per i giovani, la Caritas parrocchiale, la stanza del presepio, le stanze per il catechismo e per gli scout… l’intero chiostro è ricoperto dal fango… da quintali e quintali di fango. I danni sono incalcolabili: paramenti liturgici e libri della preghiera danneggiati, tutti gli armadi della sagrestia rovinati, gonfi d’acqua. Si dovrà buttare via tutto.
La situazione è disastrosa, ci sono tante persone, tanti giovani che corrono, a destra e a sinistra, per portare al di fuori del convento, della chiesa, delle case la quantità enorme di fango depositatosi, ormai, ovunque… la piazza adiacente alla chiesa è un cumulo di macerie corrose da acqua e fango.
Fra Mirko insieme ai suoi parrocchiani dirige i lavori individuando i più urgenti da svolgere: liberare dall’acqua l’enorme scantinato in cui sono presenti le aule del catechismo, la sede degli Scout e la Caritas parrocchiale è prioritario. Ci vorranno due giorni, mattina e sera, per liberare lo scantinato dall’acqua con l’aiuto di una motopompa.. ma non è finita qui, una volta liberato dal mostro dell’acqua, rimane il mostro del fango da sconfiggere e allora ci siamo rimboccati le mani, noi frati e tanti preziosi volontari, con l’aiuto dei secchi e dei famosi “tira acqua”. Il pavimento ritornerà visibile solo dopo 10 giorni, nei quali con l’aiuto di varie idropulitrici riusciamo a lavare i muri, le stanze, i pavimenti, le porte e le finestre.
È una corsa contro il tempo per cercare di salvare il salvabile e non incorrere in danni maggiori. Dopo aver aspirato l’acqua con l’idrovora e averla fatta defluire, bisogna sbrigarsi per fare in modo che il fango non diventi duro come il cemento e intasi le fogne, facendo saltare il sistema di emergenza messo in piedi in quei giorni.
Ma.. d’un tratto, nel cumulo di tutti gli oggetti che riappaiono alla luce dal mostro, dal fango, ecco spuntare un crocifisso, il crocifisso di san Damiano, il crocifisso che parlò a San Francesco:“ Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va’ dunque e restauramela”. Niente di più attuale! Con delicatezza una volontaria gli ha tolto il fango dal volto per farlo tornare a portare la luce in quella distesa di buio, di macerie, fango e acqua.
Sono rimasto lì 8 giorni condividendo con i frati la vita quotidiana, la preghiera delle lodi e la messa della mattina nel refettorio, danneggiato e non appena terminata la preghiera, ci si armava di stivali e badili e si iniziava la giornata.
Da Brescia sono arrivati anche i nostri postulati che per tre gironi ci hanno dato un grande aiuto. L’organizzazione generale ogni giorno inviava dei volontari, da tutte le parti d’Italia, Bergamo, Milano, Padova, i trentini della val di Non soprannominati “macchine da guerra”, i ragazzi di Firenze, Reggio Emilia e tutti i giovani e gli scout che ruotano attorno alla nostra realtà parrocchiale di Faenza. Eravamo tanti ma il lavoro non mancava.
Significativa è stata la messa celebrata in Duomo, presieduta dal vescovo Mario domenica 28 maggio alle ore 18.00 con tutti i volontari. È stata suggestiva l’immagine di tante persone, ragazzi, riuniti a celebrare la messa con gli abiti ancora sporchi di fango che fino a qualche minuto prima continuavano a spalare! Un momento in cui si sono condivisi tanti segni di fede, speranza e carità: “La bellezza e la tenerezza di una Chiesa giovane che spala il fango”.
Ma oltre agli aiuti materiali, mi sono chiesto, quale è il valore aggiunto che possiamo portare come frati e come volontari? L’ascolto e la vicinanza. Qualità insite nel nostro stile di vita: da sempre ci viene chiesto di metterci a fianco di quelle persone più deboli che hanno perso tutto.
Penso che come frati e volontari siamo qui per fornire uno sguardo di solidarietà e di tenerezza, siamo qui, semplicemente ad ascoltare il dolore, la rabbia, lo sconforto di queste persone che vedevano nei loro oggetti, infangati, i ricordi, gli affetti, le storie, i sacrifici della loro vita quotidiana. Niente di più importante che stare loro accanto.
Nel ritorno a Padova, dopo una settimana dalla mia partenza, con una volontaria abbiamo fatto memoria di quei giorni, ma soprattutto memoria di quelle persone che il Signore ci ha messo accanto: i volti sorridenti di tutti i volontari che nonostante la fatica erano sempre pronti con la pala in mano; i volti di chi ha perso tutto ma vuole ripartire; i volti dei tanti giovani, i volti dei nostri frati che non hanno pensato neanche per un istante di arrendersi!
Don Tonino bello scrive: “Ho letto da qualche parte che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto”… posso confermare che in quei giorni ho visto tanti angeli sporcarsi dalla testa ai piedi e volare verso chi aveva bisogno.
Ringrazio il Signore per avermi dato la possibilità di stare con queste persone.
Forza Faenza. Forza Romagna.
fra Giambo – info@vocazionefrancescana.org