Ciao a tutti cari amici di cammino, sono Leonardo, un postulante del convento san Francesco di Brescia. Siamo entrati nei tre giorni più importanti della nostra fede, i giorni dove la Chiesa universale celebra il grande e solenne Triduo Pasquale!
In questi giorni volevo condividere con voi, per camminare e prepararci insieme a ogni singola giornata del Triduo, una meditazione di un grande prete, di un profeta (come dissero di lui Paolo VI e Papa Francesco): don Primo Mazzolari.
Chi è don Primo Mazzolari
Don Primo (1890-1959), prete dal 1912, dopo essere stato un cappellano militare al tempo della Prima Guerra Mondiale, trascorse la sua vita come parroco di piccoli paesi di campagna a due passi dal Po, prima Cicognara e poi Bozzolo, in provincia di Mantova. I suoi scritti e le sue predicazioni attiravano l’attenzione di tantissime persone (dai poveri ai più letterati, dai poeti ai politici).
Nel Vangelo scopre “la Verità che fa liberi”, e il suo apostolato è infiammato da questa passione della libertà. Lui voleva che i suoi parrocchiani, e i cristiani in generale, vivessero nella dignità dei Figli, nella libertà.
Per questi motivi entrò nella lista nera del regime fascista (e infatti tante volte ha rischiato anche la pelle!) e attirò su di sé molte misure disciplinari della gerarchia! Ma poi le sue parole, il suo pensiero e il suo messaggio hanno anticipato molte acquisizioni del Concilio Vaticano Secondo.
San Francesco voleva che i suoi frati vivessero il Vangelo: questa è la regola principale del Poverello d’Assisi. Don Primo, anche se non era un frate francescano, si sforzò di vivere e di proporre il Vangelo nella sua integrità.
Cercava infatti di mostrare un volto del Signore che, da giudice e castigatore come si predicava ancora all’epoca (siamo a poco più di 50 anni fa), si manifestava invece come Padre Misericordioso, innamorato degli ultimi, dei poveri e dei peccatori.
Famosa, spettacolare e toccante è la predica “Mio fratello Giuda”, tenuta da don Primo nella sera del giovedì santo del 1958 (se volete avere una meditazione in più per la giornata di oggi, qui trovate il video con la sua voce registrata e il pdf del testo, ne vale davvero la pena!).

Giovedì Santo, giorno dell’Ultima Cena.
Don Primo scrive il testo che vorrei condividere con voi oggi nel 1942. È Giovedì Santo, la celebrazione della “Messa in Coena Domini” è già avvenuta (all’epoca infatti si celebrava al mattino), e lui è davanti all’altare della reposizione, che diventa il Cenacolo.
Don Primo guarda per tutta la giornata quello che succede davanti a quel Gesù agonizzante nell’orto degli ulivi, si immerge negli occhi della sua gente che contempla il Cristo che il giorno dopo sarebbe morto in croce: in quell’ostia si raccoglie tutto, tutti i passaggi di quella giornata.
Lui medita, si chiede come fa tutta “l’Onnipotenza d’Amore stare in un pezzo di pane, in un frammento” e in tutto questo pensa all’incontro con il Signore che avrebbe fatto il giorno dopo, nella funzione del Venerdì Santo, quando lo riporterà all’altare.
Mazzolari scrive, e quelle parole diventano preghiera e, a distanza di anni, lo diventano anche per noi.
Buona preghiera.
Leonardo Mattuzzi – postulante a Brescia

Chiesa spoglia; tabernacolo vuoto, aperto… Oggi non c’è nessuno! Mi fa male quest’assenza voluta dal mio peccato. Gesù divorato dal mio peccato…
Nella navata di destra, al primo altare, chiuso da una cortina di damasco, il Cenacolo. Ai piedi, mazzi di violacciocche, rami di pruno selvatico appena fiorito, un tappeto di veccia cresciuta al buio, pochi ceri, molti lumini.
La gente vien dentro in punta di piedi, si mette dove può, silenziosa. Non so se prega: guarda. Non c’è niente da guardare: un povero Cenacolo di Chiesa povera.
C’è l’Ostia da guardare: il Pane dell’ultima Cena, preso in mano, benedetto, consacrato da mani che Gesù ha fatto sue, appunto perché non sono sante, perché non sono pure come le sue.
Dio! Come strazia questo confronto divenuto più facile nel gesto che continua dinanzi al Dono, poiché la Messa di oggi è sospesa aspettando il domani. Di mezzo c’è l’Agonia: la Tua, o Gesù, e la mia.
La Tua è l’ineffabile agonia di chi nel dare sopravanza ogni desiderio di chi riceve; la mia è l’agonia di chi ripete e non sa, di chi tende le mani e non capisce neppure di tendere le mani, di chi continua il Mistero in un gesto più meccanico che spirituale.
Sono una spiaggia arida: viene l’onda e non so trattenerla. M’accorgo quando il flutto è già lontano. Che angusto recipiente per la Tua straripante abbondanza! Quanta impurità per l’Innocenza che mi gorgoglia tra le mani!
Questa sera, poiché Egli si è come staccato dalle mie povere mani, poiché c’è un piano tra me e il Pane della Vita, poiché c’è di mezzo l’incontenibile singhiozzo del Getsemani, vivo l’ora del Cenacolo in consapevolezza muta e accorata.
La mia gente intuisce il mio star male davanti alla Presenza del Cenacolo, Residuo pieno, Ostia non consumata, Sacrificio non esaurito, Offerta sospesa tra la mia indegnità di oggi e quella di domani.
Cosa dice a Gesù quella bambina, cui la mamma soffia dolcemente delle parole brevi sui capelli d’oro? E quell’uomo, che ha la faccia chiusa più delle labbra e una stanchezza dimessa nel corpo che si regge a stento? Una fanciulla fissa il Tabernacolo attraverso un tenue velo di malinconia; una mamma, lì presso, pare l’Addolorata. Ha sette figli, è vedova…
Com’è bello questo ritrovarsi d’anime e di pene, di tenerezza e di pietà nella mia Comunione di domani! Domani, mentre Ti porterò sull’Altar maggiore, nudo come la croce, freddo come il mio cuore, quando Ti spezzerò… mi ridirai tutto, Cristo adorato, Cristo accarezzato, Cristo pianto dal mio popolo per me.
Domani è la Comunione… Ognuno ha lasciato qualche cosa di sé, ha segnato di un palpito o di una lacrima il mio Pane di domani; ognuno col Signore si comunica a questo povero prete; ognuno mi perdona, ognuno mi sorregge.
Sono fratello di tutti; il fratello che ha bisogno di tutti, che tende la mano a tutti… anche al pruno, anche alla violacciocca, anche alla veccia, anche al lumino che fumiga. Come potrà starci tutto questo mondo, che si àncora all’Eterno fatto Pane, nel cuore di un pover’uomo? E tu, cosa mi domandi, Signore?
Rileggo il Vangelo del Mandato.
Gesù, sapendo che era venuta per Lui l’ora dì passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino all’ultimo. E durante la Cena, si levò da tavola, depose le sue vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!» (Gv 13,1-9).
Lasciarsi amare. Tu non mi domandi di più. Non mi domandi se Ti voglio bene. Ti basta ch’io mi lasci amare dall’Amore, portare dall’Amore, perché anch’io sono un lontano.
Allora domani faccio lì Comunione. Sei tu che mi ospiti. Io sono l’esule che torna alla Patria: il Prodigo che dal deserto dell’Amore, torna alla Casa dell’Amore, nel giorno dell’Amore.
don Primo Mazzolari – info@vocazionefrancescana.org
quanto e quanti sono rimasti turbati dal Signore giudicante e castigatore,dalle persone della mia età a quelle dei miei figli…eppure mi rifuggiavo sempre nell’immagine di Gesu che vedevo,buono,giusto ed accogliente,sempre vicino con la sua gioia e con il suo dolore grazie