Oggi condivido con voi la testimonianza di Alessio, un giovane di 34 anni della provincia di Verona. È una storia molto forte e singolare per alcuni versi, eppure anche vicina a tante altre.
Alessio ha fatto i suoi passi, ha percorso strade che lo hanno portato prima alla tossicodipendenza, e poi ad una nuova libertà. Ha avuto il dono di incrociare in queste strade proprio noi frati francescani. In maniera persino sorprendente, fra una comunità terapeutica gestita da noi frati e un nostro eremo fra le montagne trentine, passando addirittura dalla sua data di nascita.
Il Signore sa davvero sorprendere, liberare, fare nuove tutte le cose!
Ascoltiamo allora questa storia di vera risurrezione. E che il Signore continui a liberare i cammini di ciascuno di noi.
fra Nico – franico@vocazionefrancescana.org
Mi chiamo Alessio e ho 34 anni. Sono veronese, più precisamente della zona di Monteforte d’Alpone.
La mia è una storia di 12 anni di tossicodipendenza che, per antonomasia, è l’emblema dell’egoismo; si vive in funzione della la sostanza, che diventa il centro gravitazionale di tutto, anestetizzando emozioni e sentimenti. È facile comprendere che una vita vissuta così abbia la forza di distruggere ogni relazione interpersonale, andando a minare e ad intaccare particolarmente soprattutto gli affetti più cari.
Dopo tutti questi anni di mera sopravvivenza nella prigione della dipendenza, un tragico incidente stradale di un mio carissimo amico mi fa prendere la decisione di provare a dare una svolta alla mia vita e così chiedo aiuto. Mi viene data la possibilità di fare un percorso presso una comunità terapeutica per tossicodipendenti e così sono entrato alla comunità san Francesco a Monselice (qui trovi una testimonianza di fra Piero, che opera proprio in questa nostra realtà, qui un video di uno dei frati fondatori della comunità)
All’epoca non ero consapevole di come l’incontro con i frati minori conventuali che gestiscono quella comunità potesse dare una svolta alla mia vita.
Ma prima di esporvi un poco della mia esperienza in comunità, c’è un episodio curioso e singolare che vi voglio raccontare: nello stesso istante in cui nacqui, il 14 febbraio 1988, un padre conventuale originario del mio paese, padre Adriano Molinarolo, morì tragicamente in un incidente stradale causato da un tossicodipendente.
I miei genitori sono cattolici, praticanti e molto devoti. Mamma e papà mi dicevano sempre di avere in padre Adriano un angelo custode e di confidare in lui. In effetti questa serie di coincidenze non sono frutto del caso ed ora più che mai percepisco fondamentale questa presenza al mio fianco che mi guida e dà un senso più profondo alle situazioni che vivo.
La mia famiglia ha sempre sofferto con me nel portare questa mia croce, ritrovandosi nell’impotenza e nell’annientamento più totali. I miei cari si sono sempre rifugiati nella preghiera e non mi hanno mai abbandonato. Nel frattempo io ho sperimentato nel mio percorso che ciò che può essere nefasto non ha solo “appiccicato” addosso l’odore della morte, ma può persino essere occasione di risalita dal proprio abisso, anche se ciò non è possibile per conto proprio, perché non ci si salva da soli.
In effetti in comunità terapeutica ho cominciato a comprendere l’importanza delle relazioni sane e autentiche, belle, edificanti, che sono passate attraverso soprattutto un buon rapporto con i miei compagni di percorso e nella fiducia verso le figure di riferimento della comunità, in particolare operatori, educatori, psicologi e frati.
L’esperienza di vivere da sobrio è stato un enorme dono per me. Infatti, grazie anche a ciò, è proprio sempre in comunità che ho imparato a non dare mai per scontata la presenza di qualcuno che nel presente si fa dono per me. Poter aprire gli occhi non solo quando qualcuno di importante ti viene a mancare, ma scoprire il valore dell’amicizia e della solidarietà proprio nel fratello e nella sorella che oggi mi sono donati.
Mi accorgo, però, che una buona relazione col prossimo passa attraverso una sana relazione con se stessi. Sapete cosa è stato per me illuminante? È stato fondamentale scoprire che bisogna saper stare soli con se stessi, da non confondere con l’isolarsi.
Conosco bene la differenza. L’isolamento è quello che ho patito stando in carcere. Anche a questo mi ha portato la vita da strada. Invece la solitudine è quella che ho potuto apprezzare nella sicuramente impegnativa esperienza eremitica al santuario di san Romedio in val di Non. Disarmato di tutto, incontrando dentro di me anzitutto le mie paure e angosce che creano sgomento, riuscendo a trovare conforto aprendo il cuore a Dio.
È questa stessa via crucis a parlarmi della solitudine che Gesù vive in punto di morte e che, per certi versi, in alcuni momenti, ho sentito anche mia. Mi colpisce tanto che Gesù permette che vicino a sé in croce vi siano due malfattori, due persone che nella loro vita non lo hanno seguito. Ed è immensamente bello che basti così poco per estorcere a Gesù una promessa di vita eterna, riconoscendo semplicemente di aver sbagliato e chiedendo di essere salvati. Questo mi fa dire a gran voce che accogliere con umiltà la propria situazione di fragilità e limitatezza è condizione necessaria per incamminarsi verso la redenzione.
Dalla situazione di morte sono stato ripescato già qui in terra. Questa per me è una enorme grazia!
Oggi mi sono rifatto una vita: ho un bel lavoro, mi sono comprato casa e ho tante belle amicizie, molte delle quali provengono dal mondo dello sport che ho cominciato a praticare in maniera costante a partire dalla comunità terapeutica.
Ringrazio di vero cuore tutte le persone che ho incontrato in questi anni e che mi hanno permesso di risorgere, per poter dire a tutti che la vita è bella.
Alessio – info@vocazionefrancescanana.org