Ecco una domanda frequente, fra i miei lettori e alla quale più volte ho cercato di dare risposta nel blog e anche privatamente. “Quali sono i “requisiti” e i “segni” che contraddistinguono una autentica vocazione?”
Dalla Prima lettera di san Giovanni 4,19-5,4
Carissimi, noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo.Se uno dicesse: “Io amo Dio”, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello.
Le letture di oggi però mi suggeriscono un breve approfondimento: parlano del legame indissolubile fra amore a Dio e amore al prossimo; parlano della missione di Gesù venuto a sanare e guarire, liberare, a predicare. Questo mi fa dire che fra le note indicative di un’autentica chiamata di consacrazione non potrà mancare il desiderio di servire, donarsi e amare. Potrebbero sembrare indicazioni scontate, ma credetemi, per alcuni giovani che mi contattano questo non lo è affatto: spesso preoccupati unicamente della propria autorealizzazione e di trovare un senso a se’ stessi, di trovare una pienezza che dia loro felicità e benessere.
Per un consacrato invece è connaturale lo slancio verso il povero, l’amore agli ultimi, la tensione per una Chiesa ferita e lacerata, la missione e la preoccupazione pastorale ed evangelizzante, il desiderio di spendersi per risanare e liberare, il prendersi cura, accompagnare il fratello umanamente e spiritualmente. Certo si tratta di una sensibilità in cui crescere e maturare e anche talvolta venire iniziati: anche socialmente, infatti, la cultura del dono e della gratuità pare essere venuta meno e un giovane respira a pieno quest’aria asfittica.
Ma come pensare a diventare prete o frate se, almeno in embrione, manca il desiderio di spendersi per gli altri e si è solo occupati da se stessi?

Al riguardo noto come il termine “felicità” talvolta evocato nei dialoghi vocazionali (desidero diventare frate per essere “felice”) sia assolutamente ambiguo. Preferisco sempre rimandare alla parola più evangelica di “beato“. Il credente come ogni altro uomo (così il consacrato), infatti, non sempre può dirsi “felice” nella propria vita. Può sempre però ricercare la “beatitudine”, nella desiderio di operare il bene, nel praticare la giustizia e la verità, nell’essere mite e misericordioso, nell’essere povero in spirito e puro di cuore…. Atteggiamenti questi che chiedono inevitabilmente scelte costose ed esigenti, umanamente spesso poco “felici”, ma cristianamente davvero “beate”. Un san Massimiliano Kolbe ( frate conventuale martire ad Auschwitz), non è certo da ritenersi “felice” nel suo gesto estremo, ma la beatitudine evangelica del “perseguitato per la giustizia“, sicuramente gli appartiene!!
Non posso qui non pensare anche all’esperienza di san Francesco e come la sua conversione sia legata all’incontro con un lebbroso, e alla conseguente decisione di spogliarsi di tutto per vivere il Vangelo in povertà e accanto alle persone più spregevoli e ripugnanti; penso al suo desiderio di andare fra gli infedeli, al suo continuo peregrinare di città in città e paesi a predicare la pace e la misericordia di Dio.
Cari amici in ricerca e in cammino vocazionale, lasciamoci dunque provocare dalle letture di oggi.
Al Signore Gesù sempre la nostra lode.
fra Alberto – fraalberto@vocazionefrancescana.org

Io non amo assolutamente, né me né gli altri; direi anzi che odio profondamente. Come fare per imparare ad amare?
Pace a te. Puoi provare a prendere in mano il Vangelo e leggerlo….lì c'è una via, un itinerario per amare. ti ricordo nella preghiera. f. Alberto