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Home testimonianze

Dalla lotta armata al convento

Testimonianza di fra Daniel Thevenet

fra Alberto Tortelli di fra Alberto Tortelli
19 Novembre 2010
in testimonianze
0

Dalla lotta armata al convento: dopo 10 anni di latitanza in Italia e una condanna a quattro anni e mezzo di carcere, padre Daniel Thevenet oggi è il superiore del convento francescano di Cholet, in Francia.

In Italia fa discutere l’annunciata conversione di Gianfranco Stevanin, condannato all’ergastolo per l’omicidio di sei donne, che vorrebbe entrare a far parte del Terz’ordine francescano. Sull’esempio di San Francesco, i frati accolgono tutti e qualcuno fa persino carriera nonostante il passato burrascoso, come dimostra la storia di padre Daniel.

fra Daniel

Ordinato sacerdote ad Assisi nel 1991, questo ex terrorista con il saio è tornato nel suo paese da qualche anno per guidare la comunità francescana di Cholet, nell’ovest della Francia, ed è diventato un punto di riferimento per centinaia di ragazzi e ragazze che si ritrovano nei gruppi giovanili animati dai frati. Panorama è andato a trovarlo.

La «vocazione rivoluzionaria» di padre Daniel si è manifestata molto presto:

«A 14 anni sono entrato a far parte dell’Ags, un gruppo trotzkistaleninista che teorizzava la necessità della lotta armata. Era il 1971 e frequentavo il liceo cattolico di Lione, ma, contagiato dagli ideali del Maggio francese, ero convinto che solo la rivoluzione proletaria potesse cambiare la società. Partecipavo alle manifestazioni e spesso ci scontravamo con i fascisti. Un anno dopo sono passato nell’Lcr, dove si formavano le prime cellule combattenti. Ho lasciato la scuola e la famiglia e ho cominciato a vivere in semiclandestinità. Il mio nome di battaglia era “Rameau” (Ramoscello)».

La vita di Daniel a quel tempo non era molto diversa da quella di altri giovani, in Francia come in Italia, che si preparavano a diventare terroristi:

«Andavamo nelle scuole e nelle fabbriche per organizzare gli scioperi, distribuivamo volantini e qualche volta ci portavano in campagna per perfezionare il nostro addestramento militare».

Per finanziare la cellula organizzavano rapine in banca: Daniel ne fece quattro in tutto, a mano armata.

«La notte rubavamo un’auto e il mattino seguente entravamo in azione. Una volta fatto il colpo andavo a rifugiarmi in Alta Savoia, in attesa che si calmassero le acque».

Tutto fila liscio finché un giorno Giacomo, un suo compagno, viene arrestato e fa il nome dei complici. Il padre di Daniel corre ad avvertire il figlio: «Mi è crollato il mondo addosso con tutti i miei ideali e i miei progetti. Decisi di fuggire» racconta il frate. È il 1978: nascosto in un’auto Daniel raggiunge Ventimiglia e da lì Genova.

«Ho dormito in un giardino pubblico insieme con i barboni. E quella notte, angosciato, al freddo, per la prima volta ho sentito una voce dentro di me che mi ha detto: “Ora sei solo”. Ho deciso che dovevo ricostruirmi una vita e farmi dimenticare da tutti».

Il giovane ricercato tenta allora di raggiungere Roma in autostop, ma si ferma a Firenze:

«Ho trovato lavoro in un negozio che esiste ancora, accanto alla stazione. La notte dormivo al campeggio Michelangelo, spesso facendomi ospitare dai ragazzi e dalle ragazze di passaggio».

Ma ricostruirsi una vita non è facile. Dalla Francia arriva la notizia della condanna in contumacia: quattro anni e sei mesi di carcere. Daniel scivola nel tunnel della droga: marijuana, hascisc e poi eroina.

«Ero sempre più solo e disperato, pensavo al suicidio. Così ho scritto ai miei genitori con uno pseudonimo, Alessandro, per non farmi rintracciare dalla polizia, e ho persino telefonato. Ho parlato con mio padre. Anche lui mi chiamava Alessandro e mi dava del lei, per non farsi scoprire. Ma è bastato quel breve colloquio per trovare la forza di reagire e ricominciare ancora una volta daccapo. Mi sono fatto prestare 30 mila lire dal mio datore di lavoro a Firenze e sono partito».

Giunto a Milano, Daniel vende porta a porta prodotti per la casa.

«Raccontavo di essere un giovane studente francese che doveva pagarsi gli studi. La gente era generosa. Ma quei soldi mi servivano per pagare la droga. Mi bucavo nei fine-settimana. Non mangiavo quasi più, ero diventato uno scheletro. Ripensavo agli anni passati in Francia come alla vita vissuta da qualcun altro. Finché con un amico calabrese, Rodolfo, decidemmo che era ora di riprendere in mano le nostre vite. Progettammo di trasferirci in provincia di Cosenza per dedicarci a costruire marionette. Troppo tardi: nel frattempo mi ero preso l’epatite B e C e sono stato ricoverato in ospedale a Roma per mesi».

Uscito dall’ospedale, Daniel va a vivere con un gruppo di amici e di amiche alla Garbatella:

«Loro lavoravano, io ero clandestino. Di giorno stavo in casa a cucinare, la notte facevo il guardiano in un parcheggio. Con quel gruppo di amici ho riscoperto la gioia di vivere, senza più il bisogno della droga. Un giorno mi hanno chiesto di tradurre dal francese un Dizionario dei simboli dedicato all’esoterismo. Fu così che cominciai ad appassionarmi di spiritualità, cabala, astrologia».

Spinto da questa nuova inquietudine Daniel si trasferisce in Umbria:

«Trovai lavoro in un’azienda che produceva tabacco. La sera leggevo i miei libri. Tra questi c’era anche la Bibbia che mi aveva regalato un prete. Un giorno mi fermai sul Vangelo di Giovanni, nel versetto in cui Gesù dice: “Io sono la via, la verità e la vita”. Quella frase dentro di me ebbe l’effetto di un’esplosione. La domenica seguente sono tornato a messa dopo più di 10 anni».

Su suggerimento di un’amica astrologa, Daniel bussa al Sacro convento di Assisi: «Volevo restarci una settimana, ci trascorsi un mese e chiesi di restare per sempre. Raccontai tutta la mia storia, senza nascondere nulla. Mi dissero di tornare dopo due mesi». Tornato al Sacro convento, il giovane chiede nuovamente di diventare frate, ma lo invitano ancora a ripensarci.

«Tornai un’altra volta, dopo qualche mese, e finalmente mi accolsero come postulante. A quel punto mi sentivo pronto per finire di pagare il mio debito con la giustizia in Francia. Chiesi al mio superiore di lasciarmi andare, ma lui mi sorprese: “Hai sofferto per tutti questi anni, sei stato solo, hai avuto freddo e fame, hai lavorato, ti sei ricostruito, hai avuto la forza di abbandonare la droga. La giustizia di Dio è stata più forte di quella degli uomini. Non tornare in Francia per il momento. Aspetta di diventare sacerdote”».

Così l’ex aspirante terrorista diventa frate con il nome di Daniel Marie e viene ordinato prete nel 1991. Quando torna finalmente in Francia i suoi reati sono prescritti. Oggi ha 53 anni e si occupa dei giovani, molti dei quali con storie difficili alle spalle. Il convento è stato un modo per sfuggire alla giustizia? «Non credo» risponde sicuro fra Daniel.

«La Provvidenza ha voluto che espiassi la mia colpa in modo diverso e oggi vuole che io ripaghi il mio debito con la società cercando di aiutare i giovani, i poveri, le persone sole che si rivolgono al nostro convento. Grazie alla mia esperienza forse è più facile capire tante situazioni. Ho sbagliato, ma ho sperimentato la misericordia di Dio. Tutti possono cambiare purché si aprano al Signore con cuore sincero».

Giacomo Galeazzi – info@vocazionefrancescana.org

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Tags: testimonianza vocazionale
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