info@vocazionefrancescana.org
333 9062097
Vocazione Francescana
  • Chi siamo
    • Noi frati del blog
    • Frati Francescani Conventuali
    • San Francesco d’Assisi
    • Sant’Antonio di Padova
    • Santi francescani
  • Essere frate oggi
    • Cosa fanno i frati
    • Giornata tipo del frate
    • Testimonianze
    • Vieni in convento e vedi
  • Come diventare frate
    • I passi per diventare frate
    • Corsi e percorsi vocazionali
    • Sperimentare il convento (Postulato)
    • Vestire il saio francescano (Noviziato)
    • Professare la Regola (Post-noviziato)
  • Strumenti per te
    • Parla con un frate
    • Test francescano
    • Video
    • Podcast
    • Mini-percorsi on-line
    • Appuntamenti
    • Link utili
  • Contatti
Nessun risultato
Visualizza tutti i risultati
Vocazione Francescana
  • Chi siamo
    • Noi frati del blog
    • Frati Francescani Conventuali
    • San Francesco d’Assisi
    • Sant’Antonio di Padova
    • Santi francescani
  • Essere frate oggi
    • Cosa fanno i frati
    • Giornata tipo del frate
    • Testimonianze
    • Vieni in convento e vedi
  • Come diventare frate
    • I passi per diventare frate
    • Corsi e percorsi vocazionali
    • Sperimentare il convento (Postulato)
    • Vestire il saio francescano (Noviziato)
    • Professare la Regola (Post-noviziato)
  • Strumenti per te
    • Parla con un frate
    • Test francescano
    • Video
    • Podcast
    • Mini-percorsi on-line
    • Appuntamenti
    • Link utili
  • Contatti
Nessun risultato
Visualizza tutti i risultati
Vocazione Francescana
Home testimonianze

Testimonianze dalle missioni

fra Nico Melato di fra Nico Melato
20 Ottobre 2023
in essere chiesa, testimonianze, vita da frati
0

Questa estate molti giovani sono partiti con noi frati per delle esperienze in missione. Eccovi le loro testimonianze!

Durante questa estate 2023 noi frati abbiamo proposto ben 3 diverse esperienze in missione (qui l’articolo che le presentava), in cui abbiamo coinvolto molti giovani. Con gioia ora condividiamo con voi le loro testimonianze proprio durante questo ottobre, mese missionario per eccellenza.

Vi lascio subito alle loro parole.

Il Signore ci benedica tutti.

fra Nico – franico@vocazionefrancescana.org

Bosnia-Erzegovina – Testimonianza di Elisabetta

‘if you want know a language married a woman’

 Quest’estate sarei dovuta partire per la Palestina ma grazie a degli impedimenti sono partita per la Bosnia-Erzegovina. Sono partita per la Bosnia-Erzegovina con una mia idea di migrante, di relazioni, di gruppo, di affetti, sono partita per la Bosnia-Erzegovina pensando che in 20 giorni avrei capito e decifrato il mondo. Sono tornata pensando tutt’altro.

I libri di storia mi hanno sempre insegnato che le migrazioni sono nate con l’uomo e l’uomo è nato con le migrazioni: ci si è sempre spostati verso un posto migliore, una casa migliore, per un terreno che fruttasse di più; oggi ci spostiamo per lo studio, per un futuro migliore, perché sui social abbiamo visto un tale fare fortuna, per scoprire cosa c’è oltre le montagne …

Quindi perché io, persona comune, mi sono messa in gioco e mi sono ‘spostata’ per due settimane? Penso di aver scelto di migrare, per pochi giorni, in un altro Paese per capire cosa c’è dietro una famiglia che arriva in Italia, che manda i propri figli in una scuola con una cultura, una religione, un modo di pensare, molti diversi dal loro. Perché rinunciare al proprio Paese, alle proprie tradizioni, alla propria casa, per venire nella ricca Europa?

Il mio viaggio è iniziato con un gruppo eclettico di persone, ricordo che amici mi dicevano: vai a fare questa esperienza, vedrai, partirai con un sacco di ragazzi interessanti. Alla prima videocall ho scoperto che i tre ragazzi interessanti che mi avrebbero accompagnato erano tre frati: un ghanese, un francese, un veneziano, e con loro due donne e un doblò, il tutto mi è sembrato l’inizio di una barzelletta, ma in realtà è stato l’inizio delle nostre avventure.

La prima settimana ci ha visti a Biach, nel campo di Lipa, vicino al confine della Bosnia Erzegovina, lì ci aspettavamo grandi numeri di migranti, ci aspettavamo di lavorare e di fare tanto, invece abbiamo fatto poco e abbiamo ascoltato molto, abbiamo ascoltato le storie dei volontari, dei coordinatori, dei medici senza frontiere, dei migranti (o come li chiamano nei campi dei ‘beneficiaries’) che con il loro inglese cercavano di farci capire il loro paese di origine e la loro meta. Tutte le parole che stavano nel mezzo erano un’avventura a volte da raccontare, a volte da non dire. Il nostro punto di incontro era il Barber shop, il Barber shop ci ha accompagnati in quelle settimane, e ammetto di aver rivalutato il lavoro dei parrucchieri, ci sono tecniche, tagli, chiacchiere, che solo dal barbiere si possono fare. Noi abbiamo insegnato qualche parola di italiano, loro qualche parola nella loro lingua ma hanno imparato più loro che noi, ho ancora qualche difficoltà a pronunciare i colori in arabo ma sono orgogliosa di dirvi che il gioco UNO ormai è diventato internazionale e dove non arrivavano le parole, arrivavano i gesti o un semplice: “no problema”.

La seconda settimana l’abbiamo vissuta a Sarajevo. Sarajevo ha una grande e lunga storia fatta di vissuti, di guerre e di ragazzi in cerca d’identità, sono loro stessi immigrati nella loro stessa nazione. Nel campo di Blazuj le  attività sono simili a Lipa, qui i migranti sono molti di più, non i numeri che leggiamo sui giornali, ma comunque molti di più. I sorrisi, un “hey, what’s up?” e creare fugaci relazioni sono la cosa che più si può dare e più si può ricevere in questo campo, non si chiede “come hai fatto ad arrivare qui”, ma si può chiedere da dove vieni, dove vai, con chi stai facendo questo viaggio, sono domande banali ma sono domande che ci facciamo anche noi tutti i giorni, le nostre rimangono astratte nei nostri pensieri, le loro sono reali: cercando la mappa in Google Maps per capire quanto manca alla meta, chiedendo la traduzione di semplici frasi per quando saranno in Italia, raccontandoti che loro diventeranno dei famosi giocatori di cricket …

L’accoglienza della Bosnia-Erzegovina è stata calorosa, come una mamma che accoglie gli amici del figlio, potrei fare un elenco di almeno 1000 cose ma ne dico solo una: non sono mai rimasta senza cibo! I bosniaci sono pronti a raccontare le loro esperienze, i loro vissuti, non tutti parlano della guerra, non tutti parlano del futuro ma tutti lì sanno vivere un presente lento e tranquillo.

Non mi illudo che i campi di migranti finiranno, che la storia non ne avrà più, sono dell’idea che continueranno ma continueranno con persone che vedranno nel migrante un essere umano.

Porto a casa e nella mia vita sorrisi di persone, di essere umani, di volontari, di ‘beneficiaries’, di Alì dal Malì che mi diceva ‘Be positive, be better life and improve your life and the lives of the people around you’.

Grazie per aver migrato nella mia vita, il vostro passaggio è stato prezioso per me. Hvala!

Elisabetta

Libano – Testimonianza di Claudia

Dove vai in vacanza quest’estate? In Libano in una missione francescana!

Occhi sgranati che mi guardano e trasmettono paura, incredulità, incoscienza… poi mi rivolgono domande tipo:

perché devi fare per forza una cosa così estrema?

cioè … vai a lavorare anche in vacanza?

perché devi andare ad aiutare qualcuno lontano con tutte le persone che hanno bisogno qui?

ma non c’è la guerra in Libano?

ma cosa vai a fare esattamente?

Inevitabilmente queste domande hanno minato la sicurezza del “si” pronunciato qualche mese prima, in risposta all’opportunità di questo viaggio. Un “si” detto al Signore per scoprire quali grazie avesse in serbo per me seguendo questa chiamata e sperimentando la sua provvidenza.

Il Libano è un piccolo territorio di confine (la sua superficie è paragonabile a quella del nostro Abruzzo), abbracciato a nord-est dalla Siria, a sud confinante con Israele, ad ovest affacciato sul Mediterraneo.

Il paese vive oggi una grossa crisi economica, con il crollo della Lira nel 2019, causato dall’altissimo indebitamento pubblico. La situazione è stata poi aggravata dalla terribile esplosione nel porto di Beirut dell’agosto 2020, contemporaneamente alla pandemia del coronavirus.

Dopo la guerra arabo-israeliana del 1948, in Libano giungono più di 100.000 profughi palestinesi cacciati durante la proclamazione dello Stato di Israele, oggi rappresentano il 10% della popolazione. Nel 2011, con lo scoppio della guerra civile siriana, centinaia di migliaia di profughi cercano, nel vicino Libano, l’appiglio più vicino alla sopravvivenza. Oggi i profughi siriani “registrati” sono circa 2 milioni, pari al 50% della popolazione. E’ il Paese al mondo con la più alta percentuale di rifugiati rispetto alla popolazione locale, è un alveare di campi profughi, distribuiti soprattutto nella valle della Bekaa, posta ai piedi della catena montuosa che separa il Libano dalla Siria.

Il convento di Zahle è collocato a 1000 m s.l.m. con vista proprio su questa valle. La comunità dei frati che ci accoglie è formata da tre persone: fra Elias e fra Khalil nativi del Libano, fra Iosif di origini rumene.

La prima sera guardando il panorama ho pensato “al di là di quel monte c’è la guerra” e un brivido di paura ha attraversato il mio corpo.

Il giorno dopo il nostro arrivo è domenica, partecipiamo alla messa in parrocchia e notiamo subito come i frati coinvolgano i bambini nel servizio all’altare. Interessante notare che alcuni provengono dal rito bizantino greco-cattolico, pertanto, è loro consentito prendere la comunione già dal battesimo. Tra loro c’è anche Roulaf, una bambina musulmana di 8 anni (serve messa? com’è possibile?), felice e orgogliosa di essere una chierichetta. Una bellissima testimonianza di integrazione ed evangelizzazione.

La famiglia di Roulaf è una famiglia povera di curdi, provenienti dalla Siria, che vivono ai piedi del convento, in una casa molto umile. Il lavoro del papà è curare un vigneto. I frati hanno un bellissimo rapporto con loro. La sera le due mogli arrivano con una cena buonissima preparata per noi a base di melanzane, che accoglienza! Portano anche tantissima uva che viene poi distesa sul tetto del convento per essere essiccata al sole. Tutto è condiviso, tutto è uno scambio, un ottimo esempio di come essere buoni “amministratori della provvidenza”. Ci rendiamo conto della bellezza della semplicità della vita, non serve tanto per fare fraternità, accogliere e amare.

Questa famiglia vorrebbe diventare cristiana, ma avendo due mogli non è possibile e non è immaginabile oggi, per Ahmad, scegliere una delle due e abbandonare l’altra.

Il primo incontro nei campi profughi avviene due giorni dopo il nostro arrivo. Chiedo a fra Iosif se dobbiamo essere allertati di qualcosa in particolare, se deve istruirci su atteggiamenti da evitare, parole da non dire … lui risponde “non dovete sapere nulla, i bimbi faranno tutto da soli”.

Arriviamo di sera, è già buio, il campo è esattamente come si vedono in televisione: logo azzurro UNHCR (Agenzia ONU per i Rifugiati) su tutti i teli esterni. All’interno piccole stanze senza mobilio, pavimento grezzo, illuminazione improvvisata, alle pareti tessuti d’arredo per cercare di rendere più accogliente l’ambiente. La mamma è sarta, in un angolo la sua macchina da cucire e alle pareti vestiti appesi, frutto del suo lavoro.

Mi rendo conto di essere molto in imbarazzo. Ci sediamo per terra, ma il pensiero mi porta spesso a preoccuparmi dell’igiene. La famiglia è numerosa e molto accogliente, ci offrono subito un tè caldo. Sono in quel campo da circa 10 anni e lì sono nati già 3 bambini da allora. Fra Iosif mi spiega che la loro cultura è di tipo “tribale”, si accoppiano tra cugini, più numerosa è la famiglia, più importanza avrà. Infatti, la domanda che ci rivolgono spesso, soprattutto a noi donne, è se siamo sposate e se abbiamo figli. Per loro è incomprensibile come io possa avere 46 anni e non avere una famiglia. Con un po’ di nodo in gola, in quanto è per me una tema importante, rispondo “Inshallah”; mi rendo conto col senno di poi che sono fortunata a poter rispondere così, in primis perché con questa parola in qualche modo l’argomento si chiude rimettendo tutto rispettosamente alla volontà di Dio, in secondo luogo perché non sono obbligata come le loro donne a prendere marito a 13 anni, un marito imposto e contrattato.

Salutata questa famiglia, Abouna Iosif (abuna = Padre in arabo, i bambini lo chiamano così e quante volte…) ci porta in un altro campo, dalla famiglia Saleh (in arabo significa “buono”). Qui ci aspettano all’esterno della tenda, in un cortiletto adornato di fiori e piante.

Anche qui sono ancora molto tesa, ci sediamo sui tappeti, ci portano dei materassi per farci stare più comodi (praticamente i loro letti), ma continuo a preoccuparmi su dove appoggiarmi, cosa toccare e cosa no. La famiglia è numerosa: nonna, mamma, papà e 7 figli, il più piccolo è Hamudi ha 6 anni. Sulaf è la figlia più grande, 19 anni, bellissima. Già vari uomini sono andati dal padre a chiederla in sposa, ma ancora nessun accordo è andato a buon fine, lei non vorrebbe sposarsi. Questa famiglia lavora nei campi, raccolgono frutta, bambini compresi. Il papà, con la sua auto, si è improvvisato tassista e porta al lavoro altri profughi.

Abouna Iosif ha una borsa con alcuni giochi, Hamudi apre un memory e ci ritroviamo tutti coinvolti a giocare con loro: questo momento di condivisione rompe tutte le paure, ci sciogliamo, ci tocchiamo, esultiamo insieme. Mi sorprendo dell’innocenza dei bambini, non sanno cosa sia la competizione, esultano per chiunque indovini la carta corretta.

I bimbi sono affettuosi, ci abbracciano, adorano farsi foto con noi, le bimbe sono bellissime e molto femminili. Mi stupisco di me stessa, normalmente non sono brava ad interagire con i bambini, ma l’ostacolo della lingua diventa invece il mezzo per “non dialogare” verbalmente e lasciarsi andare alla comunicazione corporea che è molto più semplice. Questa sera inizia una relazione con loro, li rivedremo infatti più volte durante la nostra missione.

Quant’è bello e intenso toccare dal vivo queste persone, guardarli negli occhi ma, soprattutto, quanto è intenso sperimentare la carità in fraternità, potersi poi confrontare, supportare e condividere. Dopo tre giorni, il tempo sembra dilatato, lento. L’istinto di riempire la giornata come in Italia è ancora molto forte.

Sono partita pensando di offrire me stessa per qualsiasi servizio fosse necessario, inquadrata nell’atteggiamento “vengo ad offrire il mio servizio”, come se tutto fosse calcolabile e programmabile a tavolino.

Invece, il mio corpo non regge e mi ritrovo ko con febbre. Quel pomeriggio la famiglia Saleh è invitata in convento per raccogliere la lavanda. Abouna Iosif li va a prendere e fa un carico oltre al numero disponibile di posti in auto. Quando arrivano mi ritrovo nelle loro mani, curata con tanto amore. La mamma chiede a Sulaf di prepararmi un tè bollente con menta e melissa, mentre la piccola Arief mi fa massaggini per alleviare il dolore. Nel frattempo, Marta, una compagna di missione, li raccoglie intorno ad un tavolo con fogli e colori e Arief mi prepara dei bellissimi disegni con scritto “I love you Claudia”. Il mio cuore si scioglie, mi domando “com’è possibile che io sia lì per aiutare e invece stia ricevendo? Da dei profughi?”. Questa è la grazia della carità. Come dice scherzando Abouna “la più bella febbre della mia vita!”.

Tra gli altri servizi, i frati ci chiedono aiuto per sistemare una stanza e trasformarla in una piccola cucina. Al principio questa attività mi sembra un po’ sterile, invece si rivela l’occasione per curare il luogo in cui viviamo, che è anche casa nostra, per farci prendere confidenza con il convento e muoverci in libertà negli ambienti.

Il vivere in fraternità con frati e missionari è un’esperienza bellissima di come ci si prenda cura l’uno dell’altro, di come una mano lavi l’altra.

Ora le giornate trascorrono veloci, troppo veloci. La missione prevede anche di conoscere storia e territorio di un paese che ha accolto i più antichi insediamenti umani (7000 a.C.) in particolare Byblos, la più antica città del mondo abitata con continuità.

Imperdibile anche il sito archeologico di Baalbek, uno dei siti più importanti del Vicino Oriente, dichiarato nel 1984 Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.

La nostra avventura continua in direzione della “Foresta dei cedri di Dio”, percorrendo una strada spettacolare attraverso la catena montuosa del monte Libano che raggiunge anche i 3000m di altitudine.

Di ritorno proprio da questa escursione, Abouna Iosif ci mostra dove erano collocati i primi campi profughi a Zahle, ormai dismessi. In realtà qualche famiglia vive ancora lì e i bambini lo riconoscono, con un affetto che fa capire come il loro servizio, iniziato nel 2014, abbia lasciato il segno. Abouna ci racconta infatti di come partissero al mattino con furgoni carichi di cisterne d’acqua per portarla nei campi e come le energie fossero spese poi tutto il giorno ad intrattenere quei bambini.

La presenza francescana nei campi non è mai stata un’evangelizzazione fatta di proselitismo, anzi, è tramite l’incontro che si è trasmesso il messaggio cristiano, rispondendo alla domanda “ma perché voi venite gratuitamente ad aiutarci?”, molto interessante…

L’ultima famiglia nei campi che conosciamo è sicuramente più disagiata e povera delle precedenti. In questo campo le tende sono separate da una stretta vie pedonale attraversata, nel mezzo, da un canale di scolo delle acque di scarico, un odore acre invade le abitazioni. La famiglia è costituita da tre giovani coppie con figli, di cui un bambino probabilmente autistico. Questa famiglia vive in quella tenda da 13 anni. Ci spiegano che non ci sono speranze per loro oltre quel perimetro e tornare oggi in Siria significherebbe essere arruolati immediatamente nell’esercito. Uno dei giovani padri ha un lavoro, distribuisce pane, ma essendo siriano a lui viene concesso un solo sacco, mentre ai libanesi anche tre. Questi giovani vivono la speranza del “sogno europeo”, ci dicono “sappiamo che voi siete molto più umani e accoglienti”. Proviamo a spiegare che non è esattamente così e che, inoltre, la rotta balcanica è molto pericolosa. Preferiamo non insistere, chi siamo noi per togliergli la speranza? Come possiamo conoscere il loro destino e cosa voglia dire vivere in quelle condizioni? Di questa famiglia non abbiamo foto, non c’erano né presupposti, né la leggerezza d’animo per farlo.

Forse chi sta leggendo questa testimonianza, si aspettava una sola descrizione di povertà e dolore, ma grazie a Dio non è quello che ricorderò di questa esperienza. Le persone che abbiamo incontrato hanno saputo trasmetterci amore e gioia, nonostante le difficoltà che devono affrontare ogni giorno. Mentirei se raccontassi che è stata dura, che ho visto solo sofferenza. E’ stata una grande lezione di umiltà, di come saper vivere alla giornata, di come tutti in famiglia contribuiscono, in base alle proprie possibilità, al mantenimento della stessa.

Strada facendo i miei occhi hanno iniziato a vedere tutto con un’ottica diversa rispetto ai primi giorni. La vista sulla valle della Bekaa dal convento non fa più paura: è un meraviglioso panorama, un territorio che regala sguardi, abbracci, profumi, storie. Siamo entrati in contatto con il creato, dalla natura alle persone, calati in una realtà e stretto relazioni autentiche nella semplicità.

Porto a casa tanto amore, nuove relazioni, la buona gestione del tempo. Sono partita per dare, ma ho prevalentemente ricevuto … e quanto!!!! Ho sperimentato un’accoglienza veramente speciale. Il Signore aveva in serbo per me un regalo da scartare ogni giorno.

Alla domanda “cosa vai a fare esattamente?” posso ora rispondere serenamente, confermando quanto ci è stato anticipato nel  percorso formativo di preparazione alla missione: non siamo andati per “fare”, ma per “stare” con le persone, nelle situazioni; non possiamo cambiare nulla di quello che abbiamo visto, l’unica cosa che possiamo cambiare è noi stessi.

Prendo spunto da un messaggio di san Charbel, il celebre Santo taumaturgo libanese, per chiudere questa testimonianza:

Il regno di Dio esiste, ogni uomo è chiamato a realizzarsi in esso. C’è un’unica via per riuscirci: Gesù Cristo. Per compiere il viaggio verso il suo regno serve solo l’amore (San Charbel).

Claudia

Roma – Testimonianza di Francesco

A gennaio mi è stato proposto dai frati minori conventuali un percorso in preparazione alle missioni chiamato “Testimoni della Speranza”. Già da tempo nel mio cuore c’era il desiderio di fare un’esperienza al servizio degli “ultimi” e ho deciso di cogliere la palla al balzo.

Il discernimento svolto durante questo percorso mi ha portato a scegliere come meta Roma, e ad agosto, insieme ad un gruppo di altri sei amici e della mia fidanzata, sono stato accompagnato da Fra Simone e Fra Mirko in un’attività di volontariato di una settimana nella mensa di Colle Oppio a Roma.

Non ho iniziato questa esperienza con particolari aspettative, ma ero convinto che ciò che la Missione mi avrebbe lasciato sarebbe stato molto di più del bene che avrei potuto fare io. E così è stato.

La giornata era molto semplice: ci si ritrovava alle 7.30 in chiesa per la Santa Messa, momento fondamentale per guardare con uno sguardo d’Amore le persone che avremmo incontrato durante la giornata, alle 10.00 si andava alla mensa, si pregava nuovamente insieme, ci si divideva le mansioni del giorno e alle 10.30 venivano aperti i cancelli.

Da quel momento iniziavano ad entrare gli ospiti, e il desiderio che portavo nel cuore diventava realtà. Salutare le persone che entravano con un semplice sorriso sincero chiamandoli per nome era la cosa più bella della giornata, perché i loro occhi si illuminavano, come destati da un sogno, ed erano carichi di gratitudine nei confronti di chi si era accorto, anche solo per poco tempo, della loro esistenza e del loro valore in quanto essere umani, e non meri scarti della società.

Personalmente il ruolo che preferivo era il servizio ai tavoli. Era molto semplice, si trattava banalmente di aggiungere l’acqua nelle brocche e pulire i tavoli al termine del pasto. La cosa migliore però era che c’era la possibilità di interagire e conversare con gli ospiti, ed era esattamente il motivo che mi aveva spinto ad essere li: imparare a riconoscere il volto di Gesù nel bisognoso.

Molti ospiti non erano italiani e la conversazione non era semplicissima, ma subito ho capito che non c’era bisogno che io dicessi molto, perché ciò di cui avevano bisogno quelle persone era qualcuno che le ascoltasse. Ricordo in particolare Mauro, Baka, Samjed e Abdul, i quali mi hanno raccontato la storia della loro vita e nel farlo si sono messi a piangere più volte, e la cosa più commovente è stata quando Mauro mi ha chiesto di abbracciarlo, perché ho capito che la cosa di cui aveva più bisogno non erano i soldi, vestiti o cibo, ma affetto, qualcuno che gli volesse bene.

Ciò che invece più mi ha lasciato senza parole è stato quando ben due ospiti mi hanno regalato delle monete dicendomi “Va a prenderti una bibita fresca che c’è caldo”. Il loro preoccuparsi per me e il loro donarmi pochi spiccioli, che in proporzione a quanto avevano era un tesoro immenso, anche se io stavo fisicamente meglio di loro e avevo molti più soldi, mi ha fatto capire che il tesoro più grande che abbiamo sono le relazioni, il volersi bene, l’aiuto reciproco, il donarsi per l’altro, l’Amore incondizionato per il prossimo. Tutte cose che nessuno potrà mai sostituire con tutto l’oro del mondo.

Francesco

Roma – Testimonianza di Chiara

Questa è la seconda volta che partecipo ad un’esperienza missionaria. Il percorso di Testimoni della speranza mi ha condotto per ben due estati consecutive a svolgere il servizio alla mensa di ‘‘Colle Oppio’’, gestita dalla Caritas di Roma.

Questa esperienza si è rivelata per me il luogo inaspettato verso un cammino di fede che mi ha condotto più in profondità di me stessa e di conseguenza mi ha permesso di vedere gli altri con uno sguardo rinnovato. Mi è stata data l’opportunità di mettermi al servizio di una realtà che spesso vediamo nelle nostre città ma che raramente tocchiamo con mano. Alla fine ciò che ho ricevuto è stato maggiore rispetto a ciò che ho donato.

Abbiamo vissuto cinque incontri formativi tenutisi al santuario di san Francesco del Prato a Parma. Durante questo tempo ognuno di noi ha avuto modo di approfondire le vere ragioni e le motivazioni che lo spingevano a desiderare di mettersi in ascolto delle varie povertà esistenziali che avrebbe incontrato nelle persone indigenti. Attività mirate a stimolare la riflessione interiore, basate sulla preghiera e l’ascolto sono state le vere protagoniste della formazione, insieme alle testimonianze dei missionari, così diverse tra loro ma unite da un singolare messaggio emerso più volte anche nelle condivisioni finali: NON SEI SOLO/A.

Questo abbiamo cercato di testimoniare con l’ascolto, le azioni e le parole accompagnati da sguardi e sorrisi. Le giornate iniziavano con la celebrazione della Santa Messa e l’incontro col Signore dava il fondamento e la giusta carica per affrontare il servizio in mensa.

Le mansioni erano le più diverse e quasi tutte consentivano l’incontro con l’altro; dalla raccolta firme al servire i pasti, piuttosto che smistare la spazzatura o lavare i vassoi e poi l’immancabile servizio in sala, che portava alla relazione diretta e immediata.

In sala tra una brocca d’acqua da riempire e un piatto da raccogliere, sono fioriti discorsi, riflessioni e incontri tanto inaspettati quanto improbabili. A volte si ricevevano solo sguardi stanchi, arrabbiati, intimiditi o sconfitti. Sono stati quelli i momenti più duri e spiazzanti, perché quel tipo di dolore ti blocca e tante volte non ho saputo cosa dire o come agire.

L’impotenza ma allo stesso tempo il desiderio di fare qualcosa in più mi hanno comunque accompagnato ogni mattina del servizio, già provante fisicamente e mentalmente. Coordinare tanti volontari, situazioni impreviste e richieste di ogni tipo non è mai semplice, ma avere dei compagni di viaggio accanto a me, a volte anche  sconosciuti, in qualche modo mi stimolava a relazionarmi nell’accoglienza, nella conoscenza e nella donazione.

L’incrocio di sguardi creava spazi che si potevano o riempire oppure lasciare vuoti. Riempire quegli spazi mi ha aiutato a capire che non ero sola e dietro al bisogno e alla difficoltà c’era ad attendermi il volto di Gesù Cristo, che con una mano tesa mi chiedeva di riconoscerlo nell’indigente e l’altra a indicarmi la via da seguire per dare sostegno e conforto. Terminato il servizio, la giornata proseguiva nel pomeriggio con diverse attività costruite e incentrate su noi ragazzi; tanti momenti di riflessione, tante domande e altrettanto coraggio per accogliere le risposte hanno accompagnato i nostri pomeriggi nella capitale.

Una buona dose di divertimento tramite attività specifiche ci ha permesso di toccare il fascino di Roma attraverso l’arte, la cultura, la storia e la fede.

Ciò che non mancava mai, e che per me è di vitale importanza è stata la preghiera. Nella preghiera tutto assume una prospettiva che si rinnova nella certezza che il Signore ci accompagna e ci fa vedere la realtà con occhi nuovi; individuale o collettiva, era lei il vero motore delle nostre giornate. Sia le catechesi che i luoghi visitati hanno tracciato un percorso scavato nella nostra interiorità e hanno toccato corde del cuore che vibrano tutt’oggi.

Una domanda che custodisco dopo questa esperienza e che non mi ha ancora lasciata. Quanto influenza le mie scelte e la mia vita il fatto che Gesù sia morto e risorto per me e mi accompagna nella mia quotidianità?

Davanti ad un amore del genere non c’è paura che blocchi o miseria che non possa essere risanata. Basta solo ascoltare il cuore di Dio che batte per noi.

Chiara

Tags: missione francescanatestimonianza vocazionale
CondividiTweetInviaInvia
Articolo precedente

Giornata di digiuno e preghiera per la pace

Articolo successivo

Messaggio in bottiglia

Articoli correlati

San Giuseppe, modello di ogni chiamato e vita come vocazione
ascoltare e pregare

Il sogno di Dio trasforma i nostri sogni!

28 Dicembre 2025
Natale 2017
essere chiesa

Se Dio si è fatto uomo, in ogni uomo scopro il suo volto

22 Dicembre 2025
Diaconato? Un invito a fare quello che ha fatto Gesù
testimonianze

Diaconato? Un invito a fare quello che ha fatto Gesù

19 Dicembre 2025
Articolo successivo
messaggio in bottiglia

Messaggio in bottiglia

Categorie

  • appuntamenti (167)
  • ascoltare e pregare (502)
  • discernere (667)
  • domande vocazionali (243)
  • essere chiesa (215)
  • famiglia francescana (333)
  • test (1)
  • testimonianze (263)
  • umanizzarsi (155)
  • video (112)
  • vita da frati (278)

Archivi

Video Vocazionale
Instagram

seguici

  • Natale è anche testimonianza nelle scuole!
Siamo stati a San Donà di Piave per raccontare la conversione di Francesco e la novità del Natale a ragazzi e ragazze del CFP San Luigi. È stato bello poter vivere con loro la mattinata, rispondere ad alcune domande sul nostro essere frati e testimoniare insieme la gioia di Gesù!
  • 532 regali consegnati alle varie realtà della Pediatria di Padova e non solo: grazie mille come ogni anno della vostra grande generosità!!! W il Natale del Signore!
  • Buon Natale dal Gruppo Giovani della Basilica del Santo!!!
  • Rimani qui!

Siamo rimasti insieme, siamo ritornati sulla nostra vita di preghiera, abbiamo condiviso le nostre esperienze e ci siamo incamminati alla scoperta della liturgia delle ore. Questo è quanto vissuto sabato a Camposampiero e a Torino con alcuni di voi dopo l
  • Veglia di preghiera per le vittime e sopravvissuti agli abusi in occasione della quinta giornata nazionale.

Vergogna e dolore, richiesta di perdono, ringraziamento per il coraggio di fratelli e sorelle che hanno gridato il dolore, appello alla conversione personale e comunitaria.
Questi sono stati alcuni dei sentimenti che ci hanno accompagnati questa sera e che abbiamo vissuto in una cappella gremita di molte persone e di tanti giovani.

Possa la nostra Chiesa essere sempre più capace di ascolto, accoglienza, silenzio, e diventare luogo sicuro per ogni persona che cerca il volto di Dio.
  • "Adoriamo insieme": ogni martedì sera, a Padova. Info su fragiovani.org

Ti aspettiamo!
  • Abbiamo dato inizio al nuovo anno accademico insieme agli studenti di Padova con la messa presieduta dal vescovo mons. Riccardo Battocchio. Un momento semplice, ma bello, di preghiera e ritrovo tra le varie realtà che costituiscono la vita universitaria di questa città!
Il Signore accompagni e sostenga il cammino dei giovani e il lavoro di quanti si impegnano in varie forme per loro a partire dal corpo docenti!
  • Oggi abbiamo ricordato il venerabile p. Placido, frate che durante gli anni difficili della seconda guerra mondiale si prodigò per salvare civili, militari ed ebrei dalla persecuzione nazista, e arrivò a dare la vita nel silenzio in seguito a dolorose torture.
  • Casa giovani! Inizia la nuova avventura: fraternità, preghiera, servizio. Perché camminare insieme fa tutta la differenza del mondo.

#francescani #vocazionefrancescana #instagood #basilicadelsanto #padova #fratiminoriconventuali #frati
  • Ieri abbiamo ascoltato 3 testimonianze sulla preghiera applicata a diverse vocazioni, quali la vita matrimoniale e la vita consacrata. 
Nel pomeriggio fra Paride ci ha aiutato a tracciare la sintesi di tutto ciò che abbiamo vissuto al GVA di quest
  • Ieri è stata la prima giornata piena di GVA. Attraverso i laboratori per immergerci in diverse modalità di preghiera: adorazione eucaristica, adorazione della croce, preghiera di lode, preghiera mariana e del cuore, lectio divina, mediazione cristiana.
La preghiera ci permette di metterci a nudo davanti a Dio, come facciamo soltanto davanti a chi ci ama davvero: per questo motivo, durante la penitenziale, abbiamo scelto di aprire i nostri cuori al Signore, per permettergli di conoscerci nel profondo.

#giovaniversoassisi #gva2025 #giovaniversoassisi2025 #dovesei #giovani #frati #assisi #gva #fratiassisi
  • È iniziato il 45° GVA Dove sei? Altissimo e onnipotente bon Signore. Ieri ci ha dato il benvenuto don Gabriele per la veglia iniziale. Ci ha parlato del giovane ricco che ha un vuoto nel cuore e genuinamente va da Gesù ma commette due errori: cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna? La vita eterna non è un dovere e non è un
Facebook

Tag

adolescenti e vocazione affettività e sessualità anno liturgico Assisi basilica di san Francesco basilica di sant'Antonio carisma francescano Chiesa clarisse come diventare frate come diventare suora corso vocazionale dubbi e paure Fonti Francescane frasi vocazionali frati francescani e l'Immacolata Frati Minori Conventuali guida spirituale luoghi francescani martirio missione francescana noviziato papa Benedetto papa Francesco Parola e vocazione pellegrini pillole vocazionali post-noviziato postulato preghiera san Francesco san Massimiliano Kolbe sant'Antonio di Padova santa Chiara santi santi francescani storia del blog storia francescana suore francescane temi di discernimento testimonianza vocazionale Vangelo del giorno vita consacrata vita di sant'Antonio voti

© 2020-2022 Vocazione Francescana  -  Privacy policy

Nessun risultato
Visualizza tutti i risultati
  • Chi siamo
    • Noi frati del blog
    • Frati Francescani Conventuali
    • San Francesco d’Assisi
    • Sant’Antonio di Padova
    • Santi francescani
  • Essere frate oggi
    • Cosa fanno i frati
    • Giornata tipo del frate
    • Testimonianze
    • Vieni in convento e vedi
  • Come diventare frate
    • I passi per diventare frate
    • Corsi e percorsi vocazionali
    • Sperimentare il convento (Postulato)
    • Vestire il saio francescano (Noviziato)
    • Professare la Regola (Post-noviziato)
  • Strumenti per te
    • Parla con un frate
    • Test francescano
    • Video
    • Podcast
    • Mini-percorsi on-line
    • Appuntamenti
    • Link utili
  • Contatti

© 2020-2025 Vocazione Francescana

Scrivimi...

Non fermarti davanti ai tuoi dubbi, scrivimi e ti risponderò.

Autorizzo il trattamento dei dati personali in base all’art. 13 del D. Lgs. 196/2003 e all’art. 13 GDPR 679/16

Grazie!
Ho ricevuto il tuo messaggio.
Ti risponderò a breve.