Alla fine di un anno è tempo di bilanci. Lo sguardo all’indietro può essere una buona occasione per imparare a riconoscere i doni di Dio. E ringraziarlo!
Ascoltando un po’ di persone in questi giorni, e spulciando un po’ tra stati e stories sui social, sento che a volte corriamo il rischio di “avvelenare” i nostri discorsi. Non solo: capita anche che le parole di una persona poi invitino altri a sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda e …si arriva ad “avvelenare” il discorso pubblico. Ma con quale veleno? Sto pensando al veleno dolciastro della tristezza e della lamentela (cfr. Evangelii Gaudium n° 83).
Al 31 dicembre di un anno difficile la tentazione è spesso quella di dire: “che anno da buttare!”, “…un anno da dimenticare, da cancellare del tutto!!”. È vero: il tempo recente alle nostre spalle è stato fortemente segnato dalle conseguenze dolorose (e ancora doloranti) della pandemia e delle restrizioni sociali. Ma dal prendere contatto col male a vedere tutto male… il passo è breve. Se io potessi davvero eliminare i mesi precedenti dalla mia biografia, ora non sarei qui, vivo, a parlarne!
Proviamo allora ad alimentare un altro atteggiamento, molto più promettente e fecondo. Quello della gratitudine. Si tratta di un modo di guardare alla propria vita con uno sguardo che sa riconoscere il buono e sa vedere le molteplici relazioni che ci legano alle persone e al mondo. Ci sono studi scientifici che hanno indagato l’utilità dell’essere grati: aiuta ad affrontare le durezze della vita e migliora perfino le capacità cognitive e affettive (cfr. G. Cucci, La gratitudine radice del ben-essere).
Ma amo parlare della gratitudine perché, oltre a fare bene per la salute del corpo e dello spirito, è un sintomo sano di un autentico cammino vocazionale. Ben venga quando un giovane presenta segni di gratitudine e stupore per ciò che il Signore ha fatto e continua ad operare nella sua vita!

Come scrive p. Amedeo Cencini, nell’accompagnamento spirituale di un giovane un primo passo dovrebbe essere sempre quello di aiutarlo a fare una lettura autentica della propria vita, una lettura che lo porti a scoprire l’amore già ricevuto.
Può sembrare strano, ma non è così facile, forse è addirittura raro, trovare un individuo capace d’accorgersi di tutto l’amore che gli è stato gratuitamente donato nella vita, di commuoversi stupito per esso e renderne grazie.
Leggere con gratitudine la propria vita non è una virtù per esperti, una capacità che uno ha e un altro no. Tutt’altro! E’ un atteggiamento che si può sempre imparare e sviluppare, un’abitudine buona che possiamo alimentare e far crescere in noi. Dare spazio allo “sguardo grato” significa al contempo togliere spazio allo “sguardo avvelenato” dal maligno, che spesso ci fa interpretare la nostra vita in maniera:
- apatica, come se il bene ricevuto fosse in qualche modo un diritto della persona;
- parziale, sottolineando gl’inevitabili lati oscuri del vissuto, come non vi fossero che quelli;
- superficiale, che non sa vedere quel che a volte è solo nascosto nelle pieghe dell’esistenza;
- distorta, che addirittura stravolge il senso degli avvenimenti, vedendo tutto e solo nero.
Ora, se qualcuno è tutto preso dall’ascoltare il proprio cuore secondo queste modalità (affascinanti ma) ingannevoli e riduttive, probabilmente farà fatica ad aprirsi a un discorso vocazionale. La vocazione implica appunto un sentirsi raggiunti da una “chiamata” che ci precede, un qualcosa di non prevedibile e di non meritato che genera stupore e meraviglia.

Al termine di questo anno proviamo allora a prenderci un tempo di gratitudine. Un tempo in cui guardare indietro, alla propria storia, come si fa con un panorama in montagna, dopo che si è camminato un bel po’ e si è già in quota. Che ciascuno di voi possa sgranare gli occhi e sospirare il proprio “grazie” al Dio della vita.
Questo, se vogliamo, è ciò che fa la Chiesa stasera (con il linguaggio della liturgia) cantando il Te Deum in tutte le comunità cristiane.
Auguri di ogni pace e bene a tutti!
fra Fabio – frafabio@vocazionefrancescana.org