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Home testimonianze

La morte violenta di Don Roberto, giovane prete tra i poveri.

Per essi ha dato tutto, anche il sangue

fra Alberto Tortelli di fra Alberto Tortelli
16 Settembre 2020
in testimonianze
0

“Era un uomo e un prete felice perché aveva scoperto che un modo di seguire Gesù era quello di incontrarlo nella Sua carne vivente: i poveri. Per i poveri ha dato tutto, anche il sangue. Mi sembra che possa essere chiamato un martire della carità” (vescovo di Como , Mons Oscar Cantoni)

Il dolore e lo sgomento

Così si è espresso nel dolore il vescovo di Como alla tragica notizia dell’assassinio di un suo giovane prete, don Roberto Malgesini, accoltellato a morte in una piazza del centro città. L’esecutore, paradossalmente uno dei tanti senza fissa dimora di origini straniere, un uomo con gravi problemi psichici, che il sacerdote stava aiutando come molti altri.
Grande lo sgomento fra le persone, fra i poveri e gli ultimi che don Roberto quotidianamente incontrava e sosteneva.

Il segno del TAU

In una fotografia che lo ritrae, mi ha colpito un particolare “francescano” di questo sacerdote, il TAU di legno che aveva al collo: un TAU  portato con tanta mitezza e amore e verità e autentica testimonianza evangelica… fino a dare la vita. IL TAU segno di morte e di vita, di passione e donazione, di sofferenza e speranza, di amore offerto a tutti senza distinzioni. So che aveva bei rapporti di amicizia con i nostri frati presenti in città  e spesso si recava da loro per condividere un pasto, un momento di preghiera, una sosta fraterna.

Preghiera e testimonianza

Invito ciascuno a pregare per don Roberto, i suoi famigliari, i suoi poveri, lasciandoci interpellare e provocare dalla testimonianza della sua giovane vita offerta per amore.
Di seguito un appassionato commento di Don Marco, cappellano del carcere di Padova: da leggere e meditare specialmente per ogni candidato alla vita sacerdotale o religiosa. Si tratta di parole che vanno al cuore della vocazione!

Al Signore Gesù sempre la nostra Lode.

fra Alberto – fraalberto@vocazionefrancescana.org

Don Roberto Malgesini
Così muoiono i preti randagi di Dio – Don Marco Pozza

Morto. Anzi no, ucciso: è stato ucciso don Roberto Malgesini, il prete della gente senza-nessuno di Como. La morte l’ha aspettato lo stesso giorno nel quale è stato ammazzato don Pino Puglisi: era il 15 settembre anche quel giorno del lontano 1993. Ammazzati entrambi nel loro salotto ch’era la strada. Un salotto, la chiesa di Cristo, la postazione migliore per indagare il mondo, la storia, Dio, i suoi segreti percorsi quaggiù. Ad accomunare tutti costoro è l’essere dei pretacci, come li definirebbe la candida penna di Candido Cannavò: gente che all’incenso delle navate predilige l’odore di piscio delle strade, alla sicurezza della sacristia sceglie i crocicchi slabbrati, il paese degli scapestrati. Non hanno un partito d’appartenenza – anche se in tanti si affrettano a catalogarli come “preti-di” – né guardano alla carnagione di chi si fa loro incontro: appartengono a Dio, punto. Sono i cani sciolti di un Dio a caccia di anime ferite, irregolari, maledette. «Era una persona mite – dicono coloro che l’hanno conosciuto -, cosciente dei rischi che correva (…) La città, il mondo non hanno capito la sua missione». Nemmeno la Chiesa a cui appartengono, il più delle volte, ne capisce il cuore: sovente sono i loro padri-vescovi a contrastarne il fiuto profetico. Eppure si ostinano, controvento e senz’olio, ad andare incontro all’uomo (s)battuto a terra. Rischiano sapendo di rischiare: o sono degli idioti della peggior specie, o hanno realizzato che per il pescatore di uomini il fatto che il mare sia agitato non potrà mai essere cagione per un giorno d’aspettativa dal lavoro. Un lavoro che lavoro non è.

Ad ucciderli è la criminalità, la pazzia, l’indifferenza, l’isolamento. E’ tutta gente che, ben prima d’essere uccisa, ha già calcolato che i loro amori di oggi possano diventare i loro carnefici di domattina. Pur sapendolo, però, danno loro un tozzo di pane, donano loro un moto del cuore, additano loro uno squarcio di cielo: ad un incrocio, in un confessionale improvvisato, dentro una cella, nel silenzio di un’anonima baracca. Le loro esistenze, chissà come mai, sono sempre chiacchierate a dismisura, stazionano sulla bocca di tutti, in prim’ordine sulle labbra dei loro confratelli: a stare dalla parte di Cristo, l’accredito sono sputi, insinuazioni, beffe e derisioni. Dai propri parenti prima che dalla gente forestiera. Ogni sera, però, prima di disperarsi rammentano a se stessi a chi hanno dato la loro fiducia: ad un Uomo che ha fatto della Croce il trampolino per la vittoria. “Perchè vivono così male, eppure con l’otto per mille non mancherebbe loro niente!” insinua qualcuno. La risposta è così semplice d’apparire quasi una non-risposta: vivono (apparentemente) male perchè desiderano che vivano bene gli altri, l’altro. La loro complicazione è tutta qui. “Ben gli sta, se l’è cercata: poteva lasciar perdere quei farabutti. È ingrata quella gente” ha scritto qualcuno sui social. Invece loro l’amano questa gente, la cercano e la curano esattamente per questo: perchè è ingrata, perchè non contraccambia. Peggio: perchè all’amore potrà rispondere, forse, solamente con l’odio, il veleno, l’uccisione. “Nessun perdono per i colpevoli: galera a vita per chi l’ha ucciso!” gridano altri. La qual cosa è assai buffa: chi è morto, potesse parlare, direbbe che già li ha perdonati. E’ chi sopravvive, dunque, che non si dà pace nel fare i conti con la bontà di chi se n’è andato con un’anima luccicante dentro un corpo freddato a morte. “Pietà di loro, di tutti e due”, direbbero: di chi ha ucciso, di chi si ostinerà ad odiare pur rimanendo vivo.

Questi preti randagi sono il sorriso di Dio in terra. Ci mettono la faccia, prima il cuore, prima di tutti e due mettono a disposizione la vita: giusto un attimo prima d’andare per strada depositano come cauzione la vita stessa, l’unico bene che sovente possiedono. La depositano sapendo che ogni loro viaggio all’inferno, negli ìnferi delle anime, potrà essere un viaggio di sola andata, senza più ritorno. Chissà per quale moto del cuore uno decide di rischiare sapendo di rischiare grosso: forse perchè avverte d’essere una storia piacevolissima che, però, ha bisogno di qualcuno che gliela legga perchè da solo non riesce a leggere bene tutte le parole. Si scambiano i favori, dunque: loro diventano il mantello dei poveri e i poveri, nascosti sotto i mantelli come fossero degli ombrelli, prestano loro gli occhi per guardarsi dentro. Servendosi a vicenda. Sono le intimità proibite di Dio, l’apice della confidenza divina concessa quaggiù. E’ il punto d’intersezione esatto tra cielo e terra. Somigliano a dei bellissimi prati d’erba queste anime freddate: è quando li calpesti che diventano sentieri. Sono cuori d’una libertà assoluta, profumati di Dio.

https://www.sullastradadiemmaus.it/

Tags: martirio
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