Serve domandarci come e dove essere giovani appassionati e generatori di vita, capaci di donare ed offrirsi con generosità, spendendosi per amore.

La chiamata francescana di frate Antonio
Come già più volte ho ricordato si celebra quest’anno l’anniversario della vocazione francescana di sant’Antonio di Padova (1220-2020).
Il giovane (25 anni) e talentuoso e nobile portoghese, Ferdinando Di Buglione, alla notizia dell’uccisione violenta in Marocco di alcuni frati francescani che aveva precedentemente incontrato decide un cambio radicale di vita, di missione, di abito e pure di nome: rivestito dell’umile saio francescano sarà d’ora innanzi frate Antonio!
La provvidenza lo condurrà prima in Africa, attratto dalla missione e da un’ideale di martirio, per approdare quindi naufrago in Sicilia e così iniziare un lungo cammino di migliaia di Km che lo porterà instancabile in tante regioni e città d’Italia e di Francia, annunciando il vangelo e l’amore di Dio.
Chiude la sua giovane ed appassionata vita tutta dedita a Dio e al prossimo a Padova il 13 giugno del 1231 (a soli 36 anni) diventando ben presto il santo che tutto il mondo ama e ricerca e venera.

Passione
In occasione dell’anniversario della sua vocazione francescana papa Francesco ha scritto una bellissima lettera ai frati. Colpiscono di essa alcuni passaggi e parole, come quando il Papa dice :
“La passione per la verità e la giustizia di s. Antonio possano suscitare ancora oggi un generoso impegno di donazione di sé, nel segno della fraternità”.
Passione. E’ la prima parola. Passione nel senso dell’appassionarsi alla vita, dell’entusiasmarsi alla verità e alla giustizia, nel lasciarsi accendere e infuocare e coinvolgere da grandi ideali e scelte esigenti (la missione, il martirio, la sequela e il vangelo, il mettersi in gioco, il bene, la verità e la giustizia… come fu per il Santo)
Come non pensare qui invece, alla tristezza e alla solitudine, alla noia e superficialità, alla perenne indecisione e mediocrità, all’individualismo che fino all’altro ieri, prima del corona virus, sembravano avvolgere tante persone, anche molti giovani?
La pandemia, nella sua drammaticità, ha bruscamente smascherato quanto sia effimero e labile il nostro modello di vita basato esclusivamente sul benessere, sul possedere oggetti o cose, sul divertimento e l’esteriorità, facendo emergere un bisogno più profondo di senso e pienezza e la necessità di ragioni autentiche e forti per l’esistere. C’è dunque la passione alla bellezza del vivere da riscoprire e gustare, c’è l’amore da rimettere in circolo, c’è lo spendersi per grandi ideali, ci sono atteggiamenti di gratuità e generosità da regalare ed offrire attorno a noi, ci sono sogni da ascoltare e seguire, vocazioni e chiamate “alte” non più da rifuggire o schivare!
Solo così un giovane può affrontare l’angoscia provocata dal nichilismo.
“I ragazzi non stanno bene, ma non capiscono nemmeno perché. Gli manca lo scopo. Per loro, il futuro, da promessa è divenuto minaccia” (U. Galimberti).
L’esempio di Antonio può suscitare dunque la speranza dell’impossibile reso possibile. Dei sogni che diventano realtà, dei progetti realizzabili e realizzati.
Fecondità
Poi il Papa aggiunge un’altra parola interessante:
“il Santo possa essere per le nuove generazioni un modello da seguire per rendere fecondo il cammino di ciascuno”.
La generazione giovanile si coniuga con la fecondità. Possiamo infatti vivere una vita sterile e vuota. Possiamo rischiare di buttare via la nostra vita. Gesù aveva detto: “sono venuto perché nessuno si perda”. Noi siamo responsabili della nostra vita affinché non si perda. Per questo bisogna che la vita sia generativa. E un giovane non può non essere generativo.
E non si tratta qui solo di pensare che i giovani si sposino e siano procreativi, cosa che certo è auspicabile. Si tratta di uscire dal nostro delirio di autonomia e onnipotenza tecnologica, per cui siamo concentrati solo su noi stessi. Il corona virus ci ha edotti in tal senso sulle nostre fragilità, sul rischio di generare solitudine e non futuro.
Lo sguardo di Maria
S. Antonio aveva una speciale devozione a Maria, forse intuiva che abbiamo bisogno di uno sguardo di donna, di madre sulla vita.
Serve domandarci come e dove essere generatori di vita, capaci di donare, di vivere una vita generosa, che si spende per amore degli altri.
Chiediamo allora a s. Francesco e a s. Antonio passione e spirito generativo, perché senza queste qualità non c’è possibilità di ripartenza dopo la pandemia, non c’è futuro, non c’è vita vera.
Al Signore Gesù sempre la nostra lode
fra Alberto – fraalberto@vocazionefrancescana.org
Post tratto e ispirato:
dalla lettera di Papa Francesco per il centenario Antoniano
dal messaggio di Fr. Oliviero Svanera, rettore della Pontificia Basilica di s. Antonio per la festa del Santo