Si commemora oggi, 25 aprile, in Italia, il giorno della liberazione: il nostro paese, dopo un lungo periodo di dittatura e una guerra devastante riconquistava finalmente la libertà. Come lo viviamo al tempo del Coronavirus?
Da un anziano e saggio frate della mia Comunità del Santo (Pd), frate Francesco Ruffato, ho ricevuto un bel commento a questa giornata “civile” eppure così carica di significati e valori che non temo di definire “religiosi” e “spirituali”, quali : la dignità di ogni uomo, la sua libertà, la sua uguaglianza, insieme alla solidarietà, al bene comune oltre ogni indifferenza o interesse unicamente personale. Una riflessione credo utile anche a tanti miei giovani lettori.
La fede, infatti, non ci esime, ma anzi ci costringe come credenti, ad una presenza attiva nella società, dove tradurre concretamente il comandamento evangelico dell’amore. Il disimpegno e l’ipocrisia di tanti cristiani è forse anche una delle cause del degrado e del malessere di questo nostro difficile tempo.
fra Alberto – fraalberto@vocazionefrancescana.org

Sono passati 75 anni dalla prima festa della Liberazione. Ero adolescente, felice che la seconda guerra mondiale fosse conclusa. Purtroppo ero stato segnato da una tragedia nel mio paese: 24 vittime innocenti. Quest’anno, per la prima volta nella storia dell’Italia, il 25 aprile non sarà celebrato con cortei, bandiere tricolori, comizi commemorativi.
Un professore di storia e filosofia (Giovanni Ponchio) ha salutato gli allievi dicendo che “in pieno Covid 19 non c’è nulla da festeggiare, nemmeno il 25 aprile. Perché, in piena emergenza sanitaria ed economica, dovremmo ricordare una storia morta, in questi giorni con i vecchi che l’hanno vissuta?”.
Primo Levi, con la “liberazione” confida di aver ritrovato il significato del vivere, la gioia dello scrivere, l’entusiasmo perduto dopo tante sofferenze. Fa una scoperta: “Paradossalmente, il mio bagaglio di memorie atroci, diventò una ricchezza, un seme; mi pareva, scrivendo, di crescere come una pianta. Ero pronto a sfidare tutto e tutti allo stesso modo come avevo sfidato e sconfitto Auschwitz e la solitudine”.
Eppure l’11 aprile 1985, in RAI, gli pongono una domanda insidiosa: “In lei c’è ancora il veleno di Auschwitz? Ce n’è ancora qualche goccia?”. “No! No – rispose Levi – il tempo ha fatto il suo corso. Il veleno è stato esorcizzato”. Non era vero! Levi ha mentito. “Esiste un assassinio peggiore dell’uccisione, quello di spegnere in un uomo la vitalità (…) un mondo in cui ogni umanità è spenta, deserto radicale dello spirito, paradigma assoluto dell’inferno sulla Terra”.
Abbiamo combattuto assieme per riconquistare la libertà a tutti: per chi c’era e chi non c’era e anche per chi era contro e calpestava i più elementari diritti dell’uomo: per chi fomentava l’odio verso il diverso, e, dice bene il prof. Giovanni Ponchio in una “lettera in bottiglia” diretta agli allievi, soffocava il dissenso. La Resistenza basata sull’unità dei sani principi ha generato la Costituzione Repubblicana.
“Sono questi i valori che ci consentiranno, in questi giorni tristi, di compiere un’altra liberazione, quella dal Coronavirus. Dalla pandemia non usciremo soltanto se avremo più strutture ospedaliere e un maggior numero di farmaci e mascherine. Ne usciremo se tutti saranno curati allo stesso modo, se medici e infermieri, come già stanno facendo, avranno svolto con abnegazione il loro compito, se quanti possono, lavoreranno per il bene del paese, se tutti avranno rispettato le norme per evitare il diffondersi del contagio, se la solidarietà sarà più forte dell’indifferenza e dell’interesse personale”.
In conclusione, scrive il professore, a memoria di quanto è accaduto:
“Il 25 aprile ci ricorda che per uscire dal Covid 19 è necessario liberarci dal ricorrente emergere della cultura dell’odio e del me ne frego e convertire il nostro animo alla cultura della cura. La cura per gli altri e la cura per l’ambiente, attraverso la riscoperta della carta costituzionale che fu l’esito più fecondo della storica Liberazione (1945) dall’occupazione nazifascista, la fine della guerra civile e del regime totalitario, che aveva condotto l’Italia alla rovina più devastante. Ma fu anche la liberazione da un sistema, che il fascismo aveva posto a fondamento della sua ideologia, diffusa mediante la comunicazione di massa e l’educazione scolastica: la superiorità del maschio sulla femmina, del capo infallibile sul popolo, dell’Italia guerriera sul Mediterraneo, della razza italica sulle razze inferiori (dagli abissini agli ebrei)”.
Un giovane collega del Ponchio, G. Readi, alla domanda “Come i ragazzi possono festeggiare questo 25 aprile?”, risponde:
“In due modi: facendosi regalare “Fiori italiani” di Luigi Meneghello, per leggerselo nell’angolo più remoto della casa, e poi chiedendo ai propri famigliari, guardando loro negli occhi: “ma voi, che Italia volete, dopo?”.
fra Francesco Ruffato – info@vocazionefrancescana.org