A un anno dall’inizio del conflitto in Ucraina, vogliamo riflettere sul dramma che ogni guerra rappresenta per l’umanità. Guardando alla vicenda di Francesco, possiamo anche sperare: ogni uomo può cambiare e volgersi al bene!
Da zero a mito
Il giovane Francesco, figlio del ricco mercante Pietro di Bernardone, non era da meno del padre in quanto ad ambizione. Leggendo le antiche biografie del santo di Assisi si può dire che Francesco era uno che sapeva “spingere l’acceleratore” per arrivare primo. Amava primeggiare nello spendere, nel farsi notare vestendosi in modo eccentrico ed esercitava una spiccata “leadership” nella compagnia degli amici, tanto che questi lo elessero “re delle feste” (cfr. Vita Seconda; FF 588).
Non solo, ma per salire la scala sociale e ottenere prestigio e potere, il nostro futuro santo si è impegnato più volte in azioni di forza e campagne militari. Intorno al 1200, Francesco diciottenne partecipa all’assalto che i popolani sferrano alla Rocca di Assisi, simbolo del potere imperiale. Pochi anni dopo (1202-1203) l’ambizioso figlio di Pietro Bernardone prende parte alla guerra tra Perugia e Assisi, ma dopo la sconfitta di Collestrada viene catturato e incarcerato per un anno. Passato poco tempo dal suo rientro a casa, lo vediamo ancora vestire gli abiti militari e prepararsi ad andare in Puglia perché desidera “acquistare soldi e gloria” ed essere “creato cavaliere da un certo conte Gentile” (cfr. Leggenda dei tre Compagni; FF 1399). Se uno strano sogno non gli avesse fatto cambiare strada, forse avremmo visto Francesco combattere nelle crociate!
Da mito a mite
Dopo il “sogno di Spoleto” e il suo clamoroso dietrofront, Francesco riscopre il Vangelo e le promesse che questo contiene. Capisce che non vale la pena seguire le vane imprese di qualche signorotto, ma piuttosto essere ingaggiato da Gesù Cristo, il vero e unico Signore.
Da candidato alla carriera militare il nostro giovane in ricerca diventa via via l’uomo della mitezza, dell’umiltà e della pace evangelica. La pace del Signore la augura a tutti, la annuncia dovunque va, il suo motto diventa il famoso “Pace e bene!” (cfr. Leggenda dei tre Compagni; FF 1428), tuttora in uso come saluto dei suoi frati.
Ma cosa significa diventare miti e pacifici secondo il Vangelo? Vuol dire spegnere ogni irruenza fino a smorzare la propria grinta? Vuol dire cancellare ogni voglia di combattere, anche per una giusta causa? Assolutamente no! Il Vangelo migliora e realizza appieno la nostra umanità, non serve certo a imprigionarla o decurtarla.
È interessante notare infatti che il carattere di Francesco non viene snaturato: lui rimane energico, coraggioso, ambizioso, con la voglia di arrivare primo. Quello che cambia radicalmente è l’ambito in cui egli “combatte la buona battaglia” (2Tim 4,7). Ha capito che la vera meta non è conquistare un tesoro da quattro soldi sulla terra, ma piuttosto puntare alla ricchezza vera, quella che dura per l’eternità (Mt 6,19-21).
Perché si combatte
Come spiega molto bene don Fabio Rosini, in una sua catechesi sulla mitezza, Nella Bibbia la parola guerra è espressa dall’ebraico milhamá (מלחמה) che contiene in sé la parola lehem (לחם), pane. Questa idea del “combattere per il pane” rende bene: ogni scontro umano deriva dal fatto che ci vogliamo “rubare la stessa pagnotta”. Tendiamo allo stesso bene, e diventiamo con-tendenti.
C’è un bellissimo midrash ebraico, riportato da p. Silvano Fausti, che descrive la nascita del contendere:
“Israele il primo giorno che entrò nella terra promessa disse:
«Che buono Dio!» e danzò e tacque di stupore.
Il secondo giorno disse:
«Che buono Dio che ci ha dato la terra!» e cantò e guardò con gioia il cielo e la terra.
Il terzo giorno disse:
«Che buona la terra che Dio ci ha dato!» e guardò con piacere la terra e il cielo.
Il quarto giorno disse:
«Che buona la terra!» e guardò con avidità la terra.
Il quinto giorno dimenticò il padre e guardò con invidia il vicino.
Il sesto giorno ognuno incominciò a litigare con il fratello…
Così ebbe inizio, e continuò, tutto ciò che leggiamo nei libri di storia e sui giornali: furti e omicidi, imbrogli e menzogne, violenze e ingiustizie, oppressioni e mali di ogni tipo. Il giardino divenne deserto e tutti finirono in esilio, senza terra, senza Padre e senza fratelli.(S. Fausti, Una comunità legge il vangelo di Giovanni, Ancora – EDB, 2008, p. 148)
Francesco, ispirato da Dio, comprende che non vale la pena uccidersi per lo stesso pane, lottare per la stessa terra. Gesù promette una ricchezza diversa: «Beati i miti, perché erediteranno la terra» (Mt 5,5). È una ricchezza che è più preziosa del denaro: è l’amore di Dio per i suoi figli, è la pienezza di vita che Egli desidera per ciascuno di loro.
La nuova ambizione: l’ultimo posto!
L’ex-soldato di Assisi capisce quindi che il vero obiettivo della vita è un altro: amare, vivere in pace, farsi servi di tutti. E per queste cose combatte con la stessa grinta di cui era capace quando voleva essere un “vincente” nella società.
Nella Regola Bollata (Cap IV, FF 90) Francesco scrive che i frati «non si approprino di nulla, né casa, né luogo, né alcun’altra cosa. E come pellegrini e forestieri in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà, vadano per l’elemosina con fiducia». L’altissima povertà, continua il Santo, «ha costituito voi, fratelli miei carissimi, eredi e re del regno dei cieli, vi ha fatti poveri di cose e vi ha innalzati con le virtù. Questa sia la vostra parte di eredità, che conduce nella terra dei viventi».
È significativo che per la sua fraternità il Poverello abbia scelto il nome di “frati minori” …lui che da giovane ambiva a entrare nella categoria dei “majores”, dei maggiorenti della sua città.
«Voglio che questa fraternità sia chiamata Ordine dei frati minori». E realmente erano «minori», perché «sottomessi a tutti», e ricercavano l’ultimo posto e gli uffici cui fosse legata qualche umiliazione, per gettare cosı` le solide fondamenta della vera umiltà, sulla quale si potesse svolgere l’edificio spirituale di tutte le virtù.
Dalla Vita Prima di Tommaso da Celano, (FF 386)
Minorità, via per la pace
Molto spesso pensiamo che la fine di un conflitto arrivi solo quando una parte potrà prevalere sull’altra, potrà costringerla alla resa con una maggior capacità offensiva. La vicenda di san Francesco, uomo d’armi che diventa uomo di pace, ci mostra invece l’efficacia di una via debole, ma solo in apparenza. Francesco mite, umile e disarmato ha inciso molto più nella società del Francesco con la corazza e la spada. Più volte seppe riconciliare persone o fazioni avverse (il vescovo e il podestà di Assisi per esempio) e riportare l’armonia dove c’erano ostilità (vedi con il lupo di Gubbio).
Concludo ricordando però un altro fatto significativo, riportato da Tommaso da Celano nella Vita Seconda (FF 395). Frate Francesco, insieme a frate Silvestro, «arrivò un giorno ad Arezzo, mentre tutta la città era scossa dalla guerra civile e minacciava prossima la sua rovina […]. Il servo di Dio vide sopra di essa demoni esultanti che rinfocolavano i cittadini a distruggersi fra di loro». L’intervento dei frati segnò la vera svolta: con la fede in Dio e la forza della preghiera i demoni furono scacciati. «La città poco dopo ritrovò la pace e i cittadini rispettarono i vicendevoli diritti civili con grande tranquillità». Più tardi Francesco, rivolgendosi agli abitanti di Arezzo, disse loro: «siete stati liberati per le preghiere di un povero».

Ci auguriamo che anche nelle presenti guerre, vicine e lontane, le nostre preghiere insistenti, aiutate ancora una volta da San Francesco, possano incidere nelle discordie umane e contribuire alla vera pace.
Ogni bene a tutti voi, giovani in ricerca!
fra Fabio – frafabio@vocazionefrancescana.org