Ringrazio di cuore il caro confratello fra Antonio (della provincia francescana di Sicilia) per il bellissimo contributo che ci regala sulla vocazione di san Francesco e in fondo, di ogni giovane “in ricerca“. Per chi desiderasse contattarlo per iniziare un percorso vocazionale, lascio i suoi riferimenti.
Dal Testamento di san Francesco 1-3
“Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo”.
“Il Signore dette a me“. Le parole con le quali S. Francesco comincia il suo testamento ci permettono di cogliere il cuore della sua esperienza di Dio e di intuire la sua vocazione come esperienza di esodo, cioè di passaggio da una condizione peggiore ad una migliore. Innanzitutto egli sperimenta tutto questo come un dono del Signore – Il Signore dette a me – qualcosa che sa di non meritare e di totalmente fuori dai suoi pensieri e desideri. È il dono di un senso nuovo verso cui orientare la propria vita, è il dono di cominciare un cammino verso qualcuno e con qualcuno, è il dono di fare penitenza, cioè di cambiare vita, smettendo di sopravvivere e cominciando finalmente a vivere perché qualcuno gli sta donando la vera ragione per farlo.
“Quando ero nei peccati“: Il dono della vocazione e dell’incontro col Signore avviene non quando Francesco è buono e perfetto, come tutti vorremmo sia chi è chiamato da Dio a seguirlo più da vicino – la vocazione in questo caso non sarebbe un dono gratuito, ma solo un premio – ma quando Francesco è nei peccati, cioè nella condizione peggiore in cui l’uomo possa trovarsi, quella della lontananza da Dio, nella quale egli sta cercando solo il piacere e la gloria, ovvero dei surrogati di Dio. L’esperienza del peccato fa provare a Francesco insieme con l’ebbrezza l’amarezza della vita, e insieme alle tante esperienze di sballo e di piacere, l’insoddisfazione, il vuoto e la noia. Inoltre il bisogno narcisistico lo induce a ricercare attenzioni e gratificazioni e a fuggire ogni esperienza scomoda, difficile, nella quale ci si può “sporcare le mani”; a ricercare le apparenze piuttosto che la realtà delle cose, il superfluo più che l’essenziale. Per questo afferma:
“mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi“, a dire quasi che non riuscisse a percepire nel vederli, e ancor più nel contatto con essi, altra possibilità se non quella di un’esperienza troppo amara, della quale rigettarne il solo pensiero. Ma proprio mentre egli sta cercando altro, il Signore si mette sul suo cammino per fargli capire che vuole incontrarlo e aiutarlo a trovare la direzione giusta verso la quale orientarsi, rivelargli che ciò che sta cercando è proprio Lui. E lo fa nella maniera più strana ed inconsueta: conducendolo proprio lì dove non sarebbe mai andato, lì dove mai avrebbe pensato di sperimentare la dolcezza della vita, tra quei lebbrosi il cui solo cattivo odore gli aveva sino ad ora fatto mantenere le dovute distanze.
“E il Signore stesso mi condusse tra loro“: dice l’iniziativa di Dio, il quale vuole aiutare Francesco ad uscire dalla situazione di peccato che lo imprigiona e gli rende la vita amara, ma anche la disponibilità di Francesco a fidarsi del Signore e a lasciarsi condurre. Il Signore gli aveva fatto già cambiare direzione facendolo ritornare dalla conquista delle Puglie, ma ora comincia a chiedergli qualcosa di più: lasciarsi condurre per cambiare vita, lasciarsi guidare per scoprire un nuovo modo di vedere la realtà. Solo quando infatti ci si tuffa dentro a un’esperienza la si può vedere e scoprire in tutta la sua bellezza, viceversa a volte ci si preclude, a causa di mille paure e di altrettanti pregiudizi, la possibilità di vivere l’esperienza unica della propria vita, cioè quella che potrebbe finalmente cambiarla. “E usai con essi misericordia“: è il primo miracolo che Francesco sperimenta su di sé come dono di Dio, usare misericordia verso coloro ai quali mai avrebbe pensato di avvicinarsi. Comincia così per Francesco l’esodo da se stesso e dal suo egoismo verso l’incontro con l’altro, con il povero, che lo condurrà a diventare un uomo riconciliato con tutto il creato. Per la prima volta Francesco fa un’esperienza d’amore, riesce a spalancare le sue braccia verso qualcuno, e in quel fratello dal quale prima fuggiva riceve quel abbraccio che da sempre stava cercando.
“E allontanandomi da essi“: solo dopo che quell’ incontro è passato, e che Francesco è ritornato alla vita di tutti i giorni, si accorge quanto sia stato speciale, profondo e unico, e non può che ricordarlo e desiderare che si ripeta. Così capita anche a noi quando, allontanandoci da una situazione o persona, ci rendiamo veramente conto quanto essa sia stata determinante e quanto ci manchi. La lontananza accende il desiderio che quel incontro possa ripetersi quanto prima e ci mette in movimento verso la direzione giusta che ci è stata indicata.
“Ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo“: è il secondo miracolo, il frutto nuovo, inaspettato, la cui dolcezza profonda supera ogni possibilità di amarezza e ogni fatica vissuta prima di abbandonarsi tra le braccia dell’altro. È il miracolo dell’amore, del seme che muore e porta molto frutto, di chi vede nascere dal nulla delle proprie delusioni, amarezze, pregiudizi e false sicurezze la possibilità di una vita nuova, bella, risorta.
Tutto questo, se da parte di Dio è un dono, per l’uomo purtroppo è fatica, la fatica di accettare che qualcuno diverso da me possa indicarmi la via giusta, che qualcuno possa starmi davanti e guidarmi. Questa è la difficoltà di tanti giovani disorientati, i quali fanno una fatica enorme a chiedere aiuto nonostante stiano male, a cercarsi una guida nonostante i ripetuti fallimenti li abbiano resi stanchi di vagare, e dopo che sono riusciti a fare questo primo passo, sperimentano una fatica ancora più grande: quella di lasciarsi condurre, di consegnarsi a qualcuno che li possa aiutare ad uscire dalla loro condizione e portarli su vie migliori. La storia di Francesco ci insegna che Dio è sempre pronto a salvarci, a venirci incontro tutte le volte che ci perdiamo e a sostenerci nella fatica di intraprendere con Lui una nuova via. Penso che il dono della vocazione non stia affatto fuori da questa logica di salvezza, poiché esso è la via migliore che Dio vuole indicarmi per tirarmi fuori dalla condizione di miseria, di peccato, di infelicità e insoddisfazione nella quale mi trovo. Lungi da me, allora, il pensare che Dio mi parli o mi venga incontro solo quando sarò pronto a seguirlo. Un Dio così sarebbe veramente meschino!
Né Dio si diverte a stravolgere i progetti dell’uomo. Egli ha soltanto da dirmi una parola nuova che può indicare un senso nuovo e migliore rispetto a quello che forse ho già intrapreso. Anche a te, come a Francesco, il Signore vuol fare sperimentare quel miracolo che riesce a cambiare non ciò che sta fuori di te, ma te stesso e il tuo modo di vedere le cose, quel miracolo che ti fa sperimentare come dolce ciò che prima non lo era, non perché sia cambiato qualcosa ma solo perché tu non sei più quello di prima, sei stato trasformato da un incontro e hai ritrovato la gioia di vivere. Non dire allora al Signore che ti chiama a seguirlo «non posso perché sono un grande peccatore», poiché Egli ti sta chiamando proprio perché vuole salvarti, vuole renderti veramente felice, e dirgli di no sarebbe il tuo unico peccato, quella occasione unica mancata. Solo se ti lasci condurre da Dio e vivi questa fatica di perderti e consegnarti puoi vedere, come Francesco i miracoli nella tua vita e capire quanto Dio ti ami.
fra. Antonio M. Parisi (e-mail: fraantonioparisi@libero.it)
www.mgfsicilia.org ( Movimento giovanile francescano di Sicilia)