Oracolo di Balaam, figlio di Peor, e oracolo dell’uomo dall’occhio penetrante; di chi vede la visione dell’Onnipotente, e cade ed è tolto il velo dai suoi occhi. Come sono belle le tue tende, Giacobbe, le tue dimore, Israele! (Nm 22-24).
Balaam è un mago chiamato dal lontano Oriente per compiere un sortilegio contro Israele che ha occupato le terre di Balak, re di Moab. Di buona mattina, sella l’asina e parte, ma da subito l’asina comincia a comportarsi in modo strano: percorre un viottolo sempre più stretto che va nella direzione opposta.
Balaam percuote l’asina ma questa continua ad andare per la strada intrapresa. Tra percosse e mugugni l’asina si accovaccia sotto le gambe del padrone e sbotta: “Che ti ho fatto perché tu mi percuota per la terza volta? Non sono io l’asina che ti ho sempre ubbidito fino ad oggi?”.
Balaam comprende che il problema non è l’asina ma la volontà di Dio. A questo punto chiede a Dio cosa deve fare, è disposto a tornare indietro e ammettere il suo fallimento. Solo allora il Signore gli concede di andare dove lo attendono. Guardando l’accampamento degli ebrei fa costruire sette altari, offre gli olocausti e invece di maledire, il mago venuto dal paese degli Amau, pronuncia quelle bellissime parole di benedizione che abbiamo riportato all’inizio.
La vocazione non può essere trattata come un’asina che ci porta là dove noi vogliamo. Non possiamo proseguire nel cammino vocazionale a suon di percosse. La vocazione ha a che fare con la grazia di una chiamata che ci precede e ha come atteggiamenti di fondo l’abbandono e la fede.
Non possiamo ostinarci ad andare là dove Dio non ci ha chiamati. I segni di una “non chiamata” sono evidenti: la rabbia, il comportamento aggressivo che finiamo sempre col riversare sugli altri (dai formatori ai compagni di viaggio), il lamento continuo.
Dobbiamo, come Balaam che parlò con l’asina, dialogare con la nostra vocazione; amarla, riconoscerne le dinamiche e a volte accettare che sia più frutto delle nostre attese che di una chiamata. Il segno più evidente di una vocazione riuscita è la vita come benedizione, lode e ringraziamento.
Il chiamato pur nelle difficoltà trova bellissime “le tende di Giacobbe e le dimore di Israele”: cioè ama le comunità e i luoghi in cui si trova a vivere, nonostante queste siano segnate dall’insufficienza, perché ha l’occhio penetrante e ha imparato a guardare la realtà come la guarda Dio: con misericordia.
fra Giancarlo Paris – info@vocazionefrancescana.org
Caro amico “anonimo”,rispondo al tuo messaggio anche se solitamente non lo faccio con chi non si presenta,… merito credo per la comune passione per De’ André: davvero un grande! Circa la Chiesa e i mali che l’affliggono voglio dirti che questo in realtà non è una novità(vedi l’epoca di S. Francesco). In ogni tempo i cristiani sono coloro che cercano di seguire e testimoniare il Signore Gesù e il suo Vangelo, ma ciò non li esonera da peccati e colpe e sbagli da cui convertirsi, per cui chiedere perdono…Va detto anche, per la verità, che accanto al peccato di alcuni… Leggi il resto »
[Alberto quote]Che può
voler dire: “Se vivrete in pieno la vostra vocazione, vincendo tutte le resistenze, darete vita all’unica rivoluzione che può davvero cambiare il mondo” [/quote]
RIVOLUZIONE??? Proprio Fabrizio De André in uno dei suoi ultimi concerti parlava di Gesù come il più grande rivoluzionario… Ce ne sono stati tanti, ma anche tanti che ne hanno approfittato e fatto decadere questa Chiesa. ( Ora sembra sempre più in bilico di persone corrotte) Che sull’esempio di Francesco possiamo scoprire una nuova rivoluzione, contro la vita facile, il benessere e la corruzione provocata da queste tentazioni.
Anche lui un grande “rivoluzionario”..
Carissimi Andrea e Giuseppe,
ricordo sempre una frase di Giovanni Paolo II a Torvergata (GMG2000): “se sarete quello che dovete essere…incendierete il mondo”. Che può
voler dire: “Se vivrete in pieno la vostra vocazione, vincendo tutte le resistenze, darete vita all’unica rivoluzione che può davvero cambiare il mondo”. Sia così per ciascuno di noi: seguendo il Signore sulla strada dell’Amore, possiamo davvero incendiare noi stessi, chi ci sta vicino e tutto il mondo.
ciao. un saluto a tutti i Postulanti di Brescia. frate Alberto
Quando si dice "testardo come un mulo"…Per fortuna che la mula della vocazione è testarda altrimenti chissà noi dove andremmo, visto che il cancello qui a Brescia è "stretto"!!
Il Signore ci dia la pace nel lasciarci guidare, restando sempre aggrappati al dorso della mula!!
Andrea B. & Giuseppe