Di recente, pensando al vuoto esistenziale e vocazionale di tanti giovani, mi ha colpito una frase di Vjačeslav Ivanovič Ivanov (1866-1949), un poeta e drammaturgo russo, con la quale sintetizzava la deriva nichilista dei suoi anni.
“La coscienza contemporanea
è chiusa nella propria solitudine e disperazione
e a celebrare la propria mancanza di fondamento”(Vjačeslav Ivanovič Ivanov)
Giovani dalla vocazione “sepolta”
Il nihilismo: un modo di sentire ed interpretare l’esistenza ormai pervasivo e caratterizzante per gran parte questa nostra società, mai così sola e disperata. Quante volte mi capita di scoprirne e di leggerne il velo e la presenza tragica negli occhi di molti giovani che incontro: ragazzi intelligentissimi e sensibili, colti e preparati, ricchi di tanti doni ed opportunità, eppure già spenti e svuotati, imprigionati nell’oscuro isolamento del proprio io, tristi e ancora tristi al di là di ogni facciata e maschera ilare e divertita. Giovani dalla vocazione “sepolta” e inceppata, eppure, nel profondo, così incredibilmente assetati di essa! Nessuno, infatti, vi può rinunciare, pena l’infelicità.
“Es, ergo sum”
Nel suo lungo cammino di ricerca intellettuale e spirituale Vjačeslav Ivanovič Ivanov , che si convertirà al cattolicesimo, giungerà a comprendere come solo partendo dalla condizione di “figliolanza” e del sentirsi “creatura” l’io conquista la sua piena identità. Solo dicendo a Dio: “Tu sei”, l’uomo può proferire a buon diritto “l’io sono”.
Da una visione tragicamente autocentrata del vivere in quanto priva di un qualsiasi fondamento ecco il tutto rigenerarsi allora in un liberante “Es, ergo sum” (Tu sei, dunque sono) in cui, al di là di ogni nostra “pretesa personalità“ diventa possibile riconoscere “l’Ospite luminoso” che “dimora in noi“ e che, in modo inaspettato e “per sua sola grazia” consola e conforta, illumina i giorni, apre strade e nuovi orizzonti, ci rappacifica con noi stessi e con il prossimo, ci tende la mano, suggerisce una vocazione.
L’esperienza di Francesco d’Assisi
Come non pensare qui a san Francesco quando negli ultimi anni della sua vita, sintetizzerà in una preghiera straordinaria, “Le lodi di Dio Altissimo”, questa medesima esperienza e percorso di ricerca.
Tu sei santo, Signore Iddio unico, che fai cose stupende.
Tu sei forte. Tu sei grande. Tu sei l’Altissimo.
Tu sei il Re onnipotente. Tu sei il Padre santo, Re del cielo e della terra.
Tu sei trino e uno, Signore Iddio degli dèi.
Tu sei il bene, tutto il bene, il sommo bene, Signore Iddio vivo e vero.
Tu sei amore, carità. Tu sei sapienza. Tu sei umiltà.
Tu sei pazienza. Tu sei bellezza. Tu sei sicurezza. Tu sei la pace.
Tu sei gaudio e letizia. Tu sei la nostra speranza.
Tu sei giustizia. Tu sei temperanza. Tu sei ogni nostra ricchezza.
Tu sei bellezza. Tu sei mitezza.
Tu sei il protettore. Tu sei il custode e il difensore nostro. Tu sei fortezza. Tu sei rifugio.
Tu sei la nostra speranza. Tu sei la nostra fede. Tu sei la nostra carità. Tu sei tutta la nostra dolcezza.
Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.
Un io importante
Francesco vi giunge dopo avere vissuto nella giovinezza un “io importante”, in cui si percepiva il centro del mondo, bastante a sé stesso. Lui, ragazzo ricco e viziato di Assisi, “re delle feste” e leader di allegre scorribande con i suoi compagni. Di certo dotato di un ego prorompente, ma anche di grandi slanci ideali. Con un “io” che lo connota fortemente anche di fronte a quel Crocifisso di San Damiano che gli parla e gli tocca il cuore; un “io” importante anche nella sua malattia psico-fisica, una volta tornato dalla prigionia e dalla guerra.
Un noi ingombrante
Ma gradualmente quell’io si rimodella e trasforma. Inizia a percepirsi figlio dell’unico Padre celeste e quindi fratello dei molti compagni che presto si uniscono a lui, fratello di ogni creatura vivente, del fuoco, del sole e delle stelle fino ad ogni uomo. E’ il tempo di un “noi” , di ideali entusiasti da “neo-convertito”, che ha scoperto la grandezza dell’amore di Dio e vuole condividere questo suo progetto di vita con quanti lo ricercano e lo ammirano. Un “noi” sempre più corposo da rilanciare ovunque, in un crescendo di persone coinvolte – i “suoi” frati -, di opere e intuizioni e gesti da porre in atto (viaggio in Terra Santa, missioni, predicazioni, fondazioni di conventi) .
La crisi
Fino a quando quel “noi” si ingrandisce a tal punto che a Francesco sfugge di mano, non lo comprende più, non è più “suo”. L’Ordine è diventato troppo grande e complesso, e in qualche modo i frati gli fanno capire (vedi testo de “la Perfetta Letizia”), che ormai sono divenuti “tanti e tali” da non aver più bisogno di lui. Così anche il tanto amato e idealizzato “noi” frana miseramente. Francesco, si sente messo da parte; escluso dalla direzione che i frati stanno prendendo; derubato del “suo progetto” . A questo si aggiunga una salute sempre più malferma che lo vede ammalarsi gravemente e perdere quasi del tutto la vista. Vive così un momento difficilissimo, segnato da sintomi depressivi e dal dubbio di avere sbagliato tutto.
Chi sei tu, chi sono io?
Sul monte de La Verna dove si ritira cercando il silenzio, lo attende l’ultimo passo, l’ultima purificazione, l’estrema rinuncia anche ad una idealità tanto inseguita quanto pesante. Accompagnato solo dall’amico frate Leone, chiede ragione a Dio di un tale naufragio della sua vita. I Fioretti ci ricordano come Francesco, così pregasse:
«Chi se’ tu, o dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?» (FF 1915).
Francesco non solo chiede a Dio chi è Lui, ma anche di potersi conoscere davanti a Lui.
Nel contemplare il Cristo crocifisso e risorto che gli appare, Francesco sente che il suo dolore è accolto dal Signore, morto per lui, e sperimenta nella sua vita la Grazia della Pasqua, quale figlio amato e redento. Aveva chiesto un segno da parte di Dio e, come a Tommaso, la risposta gli giunge nelle piaghe della passione, dalle Stimmate ora impresse sul suo corpo malato e sfinito: segno e misura di un amore più forte della morte!
Francesco incontra qui e conosce
con più nitidezza e verità quel Tu, che è Dio,
che ora può pregare in semplicissime parole:
“Tu sei santo, Tu sei forte, Tu sei grande…”Scopre così finalmente anche la sua
più vera identità e vocazione:
essere in tutto simile al Signore Gesù,
povero e crocifisso.
E le “Lodi a Dio altissimo” bene rappresentano questo momento : un testo pulito e scarno, privo di ogni orpello, che parla di Dio con aggettivi essenziali, ma che trapela e trasuda del lungo e tormentato percorso di purificazione e ricerca che Francesco ha dovuto intraprendere per giungere a questo traguardo interiore.
Un invito anche per noi
L’esperienza e le parole di Francesco ci invitano a non temere nel presentarci nella nostra creaturalità e fragilità davanti a Dio, e per Sua Grazia, così scoprirci ancora una volta figli amati, redenti, salvati!
Il Signore ci conceda, inoltre, di non stancarci mai di queste domande: “Chi sei Tu? Chi sono io?”: perché la nostra autentica vocazione ci sia manifestata! Per non “adagiarci” e “accomodarci” nella nostro percorso spirituale e umano; per riprendere il cammino e ritrovare speranza anche quando attraversiamo momenti di difficoltà e “di morte”.
Al Signore Gesù sempre la nostra lode.
fra Alberto – fraalberto@vocazionefrancescana.org
Grazie del bellissimo articolo! Pienissimo di spunti su cui soffermarsi, meditare e crescere!
grazie fratello…gli apprezzamenti non fanno mai male e aiutano a proseguire in questo servizio ai giovani che spero possa aiutare molti. ciao. una preghiera