Fra i molti ragazzi che mi scrivono emerge spesso una paura tremenda (nei riguardi di una possibile vocazione religiosa, ma anche matrimoniale e non solo…): la paura di scegliere, quella di rischiare una decisione e insieme naturalmente l’angoscia di fare dei passi rischiosi, di poter sbagliare.
Si tratta di un sentimento che paralizza, immobilizza, congela e devasta la vita, togliendole ogni orizzonte e energia. Scegliere è crescere, scegliere è andare avanti, scegliere è diventare adulti, scegliere è aprire nuove strade, scegliere è darsi la possibilità anche di sbagliare, ma anche di ripartire..
Per molti giovani, questo sembra davvero un passaggio impossibile, una montagna insuperabile!! Poi, in realtà, mi conforta pensare ad alcuni nostri Novizi in Assisi che, giovanissimi e poco più che ventenni, già vestono l’abito francescano e che ricordano a tutti, la bellezza di una scelta di vita…
Vi propongo di seguito una breve riflessione sul “decidersi” e in particolare sulle trappole e i pericoli che vi si frappongono, invitandovi a chiedere schiettamente qual’è la vostra posizione e la vostra modalità al riguardo!!! Ne va della vostra vita!!!
fra Alberto – fraalberto@vocazionefrancescana.org

La scelta è un momento strategico della vita umana, è il momento nel quale l’evidenza del mistero nella vita umana si dà in maniera particolare: quando l’uomo sceglie è inevitabilmente posto dinanzi al mistero, anche se non lo sa, al mistero di sé, dell’altro, della vita, di Dio se è credente, ma anche se non lo è. E, scegliendo manifesta quel che ha in cuore, soprattutto se la scelta è ponderata e rappresenta una decisione rilevante per la vita. Se a livello razionale questo è sicuramente condiviso da tutti, in realtà oggi, operare una scelta, non pare un processo così facile o scontato.
Cultura dell’indecisione (o paura di scegliere)
Oggi viviamo, infatti, potremmo dire, addirittura in una cultura dell’indecisione, e i giovani d’oggi, figli di genitori, o con educatori, insegnanti, preti… indecisi, sono esattamente una generazione d’indecisi. Tale atteggiamento assume forme variegate e interessanti, ma tutte, senza distinzione di sorta, prive della dimensione del mistero e caratterizzate da una crescente paura, la paura di scegliere. Vediamo alcune di queste forme partendo dal livello più povero e inconsistente.
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La non scelta
È il livello zero, tipico di chi vorrebbe non scegliere mai, se potesse, e quando proprio deve fare una scelta (da quella dell’indirizzo scolastico a quella delle vacanze) la rimanda all’ultimo momento, o traccheggia all’infinito, assalito da dubbi e conflitti o semplicemente tranquillo e adattato allo status dell’homo indecisus. Di fatto, queste persone scelgono pochissimo nella vita, e rischiano soprattutto di non prender mai posizione dinanzi ai grandi problemi dell’esistenza, restando sempre in una posizione amorfa e neutra, senza mai il coraggio e l’intelligenza di mente e di cuore di porsi dinanzi al mistero. Per giungere magari al termine della vita senz’aver ancora deciso di vivere. Si nasce, infatti, per una scelta altrui, ma la qualità della vita, e normalmente anche della morte, è legata a una decisione propria!
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Scelta delegata e del “così fan tutti”
In realtà è impossibile non scegliere nella vita; chi pretende viver così si ritrova a dover subire, magari senza accorgersene, scelte fatte da altri al suo posto, come avesse dato la vita (e il cervello) in appalto a qualcun altro. È il caso di giovani, anzitutto, che sembrano subire i propri istinti e sentimenti, divenendone succubi, anche senza saperlo, come dei primitivi adoratori di entità sconosciute o enigmatiche; o che non fanno un’opzione di valori né hanno il coraggio di dare un senso originale alla loro storia, ma assorbono la cultura circostante, bevendo tutto e mai scoprendo il gusto della ricerca personale; o ragazzi che sono psicologicamente “costretti” a seguire la logica del branco, costretti a fare i bulli e farsi schifo alla fine, miseramente schifo; o giovani che non scelgono assolutamente il proprio futuro, perché già programmato da più o meno occulte agenzie di collocamento (i genitori, il mercato, la convenienza economica, l’opinione dominante…). C’è tanto “pappagallismo” in giro oggi, o “neo-pecoronismo”, come un rischio che incombe su tutti in questa società dalla comunicazione imperiosa e imperante, condizionante ogni scelta ed escludente – è ovvio – ogni idea di mistero.
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Scelta contraddittoria e …infedele
È la decisione di chi in ogni scelta si lascia sempre aperta la possibilità di fare marcia indietro, in qualche modo lasciandosi sempre una porta aperta o smentendo quel che ha deciso, la parola detta o l’impegno preso (così se ci sposiamo lasciamo sempre aperta la possibilità di lasciarci, anzi, conviviamo semplicemente allora, è più semplice; o se t’ingravido e non ti garba basta una pillola e addio bebè; o se intraprendo una strada, se poi non mi piace più ne inizio un’altra…, e tutto diventa fragile e inconsistente, leggero e liquido, proprio come la modernità odierna). È scelta che teme il “per sempre”, finendo però per contraddire il mistero della libertà umana, e rendendo banale l’esistere, inaffidabile la parola e incerto il rapporto. Ma anche pretendendo di cancellare il dramma della vita umana: l’uomo può decidere d’abbandonare la sua vita a un ideale, a un affetto, a un progetto…, può consegnarsi a tutto ciò, e in definitiva, a un Altro, o a qualcosa che lo supera e di cui si fida. Anzi, non solo può, ma lo deve fare, , naturalmente decidendo lui e solo lui a chi o che cosa consegnarsi, ma rimanendovi poi fedele anche quando c’è un prezzo da pagare. Ogni scelta autentica esprime, implicitamente o esplicitamente, questo dramma che dice assieme la dignità umana e la piena accoglienza della sua dimensione misteriosa.

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Scelta ripetitiva e sterile
C’è chi teme la novità della scelta e le possibilità che certe scelte aprono davanti al soggetto, e allora decide di non correre alcun rischio: sceglie, ma è come non scegliesse, sceglie infatti di fare solo ciò che è sicurissimo di saper fare, sta ben attento a non fare il passo più lungo della gamba, è superprudente e pretende tutte le garanzie, preferisce battere la strada vecchia, più sicura e senza sorprese, e non s’accorge che si sta ripetendo o che il suo futuro è troppo simile al passato, quasi in un processo di clonazione a ripetere, mentre la vita diventa sempre più noiosa e incolore. In prospettiva vocazionale questo sarebbe il caso di chi decide il suo futuro semplicemente in base a quel che è, alle sue doti, a ciò in cui riesce, a quanto ha già scoperto di sé, e non è disposto ad accogliere alcuna provocazione che lo spinga ad andare oltre se stesso, a rischiare l’inedito, a buttarsi in avventure un po’ ardite, ove non ha garanzie precise. D’altronde è solo così che uno scopre la propria identità, e soprattutto scopre che essa è sempre al di là di quel che uno pensa di sé, del suo io attuale o dei suoi test attitudinali.
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Scelta egoista e cieca
Infine esiste anche la decisione di chi vede solo se stesso e i propri interessi, e decide in base a essi, senz’accorgersi degli altri, del bisogno o del dolore altrui. Scegliere vuol dire aprirsi, accogliere la provocazione che viene dai volti incrociati, tener vigilanti i propri sensi, lasciarsi intercettare da appelli e domande. L’egoista non sa scegliere, poiché vede solo se stesso; e chi non sceglie il “tu” ha già scelto la propria morte.
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Scelta imbecille e odiosa
Infine c’è la scelta di chi non sa più cosa fare per occupare il tempo, ovvero per sentirsi vivo, reattivo, capace di godere della vita, o che forse ha esaurito varie possibilità in tal senso, andando a cercare felicità nei santuari moderni, e ricevendo in cambio solo illusione di gioia, e si ritrova che non sa più cosa fare davvero per “ammazzare il tempo”. Un po’ come quei giovani assolutamente normali che, negli anni passati, non trovavano niente di meglio che “divertirsi” gettando sassi dal cavalcavia, giovani “vuoti”, come ebbe a giudicarli Andreoli; o come quegli altri di Rimini, giovani di buone famiglie, che una notte di qualche mese fa decidono di dar fuoco a un povero barbone che sta tentando di difendersi in qualche modo dal freddo pungente notturno, ovvero decidono che la loro voglia di provare un’emozione diversa sia più importante della dignità e della vita di quest’uomo. Per poi giustificarsi dicendo che non volevano fargli del male, ma solo spaventarlo, così, “per gioco”; e i genitori a difendere “teneramente” i loro pargoli ventenni perché… “mica l’han fatto per cattiveria”. Forse, il vuoto mentale forse è ereditario… In quale vuoto, in quale educazione al nulla sono cresciuti questi ragazzi “normali”? Che cos’è un uomo e chi ci sia dietro al volto d’ognuno, è mistero per qualcuno perduto, memoria colmata dal nulla…
dal sito Frati Treviso